Estratto dell’articolo di Iacopo Scaramuzzi per “la Repubblica”
Per la prima volta i vescovi italiani hanno pubblicato numeri precisi, ancorché incompleti, relativi agli abusi sessuali subiti dai minorenni. Si tratta di una stima al ribasso, «una prima fotografia» di un fenomeno che da anni scuote la cattolicità in tutto il mondo. Ma, come ha detto monsignor Lorenzo Ghizzoni, presidente del servizio nazionale per la tutela dei minori, «si sta uscendo, forse lentamente, dall'idea che i panni sporchi si lavano in famiglia». […]
Due le fonti utilizzate. La prima riguarda i fascicoli inviati dalle 226 diocesi italiane al dicastero vaticano per la Dottrina della fede, l'ufficio responsabile per i processi canonici dei preti. Dal 2001 è obbligatorio, quando si apre un processo ecclesiastico, comunicarlo a Roma.
Ora la Cei, guidata dal cardinale Matteo Zuppi, ha reso noto che nel ventennio 2001-2021 sono stati trasmessi 613 fascicoli relativi a abusi avvenuti dagli anni 50 in poi. Ciò non significa necessariamente 613 abusi: in alcuni casi una denuncia può essere stata archiviata, in altri casi può essere relativa a multipli abusi compiuti da un solo prete, e dunque, come ha spiegato il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, gli abusi veri e propri «possono essere di più o di meno» di 613.
Numero che, ad ogni modo, non tiene conto degli abusi che non sono arrivati alla celebrazione di un processo ecclesiastico, che non sono stati denunciati tout court, o che sono stati denunciati prima del 2001. La Cei pubblicherà uno studio dettagliato di questi casi. […]
In oltre la metà dei casi l'abusatore è un maschio tra i 40 e i 60 anni, per lo più un prete (44,1% dei casi), ma anche un laico, ad esempio insegnante di religione, sagrestano, animatore di oratorio (33,8%), o un frate (22,1%). Nel 94,4% l'abuso è avvenuto in parrocchia, a scuola, in una sede di un movimento, nel 5,6% online. Secondo Francesco Zanardi, sopravvissuto agli abusi di un prete e animatore della Rete l'abuso, il rapporto è «vergognosamente» limitato, ma «anche in difetto i dati sono comunque allarmanti». Per la Cei è comunque «un primo passo per fare verità e giustizia».