Valentina Santarpia per il “Corriere della Sera”
Quattro anni fa fu la dirigente dell'istituto Vinci Belluzzi di Rimini, Sabina Fortunati, a sollevare la questione, imponendo un regolamento scolastico che vietava pantaloni corti, jeans con i buchi, canotte, magliette stracciate, cappellini, ciabatte. L'anno scorso nel polverone ci finì il liceo romano Socrate: la vicepreside suggerì a una studentessa di non indossare la minigonna, altrimenti «a qualche prof poteva cadere l'occhio».
Apriti cielo: le ragazze arrivarono a scuola in minigonna, affiggendo cartelli: «Non è colpa nostra se cade l'occhio». Dopo giorni di commenti e approfondimenti su come fosse appropriato vestirsi a scuola, su quanto il decoro contasse in classe e su quali capi di abbigliamento fossero consentiti o no, la faccenda fu dimenticata.
PROTESTA STUDENTI VENEZIA TOP SPORTIVO
Ma il tema ritorna, prepotentemente. Una professoressa del liceo artistico Marco Polo di Venezia qualche giorno fa ha detto alle sue studentesse di non presentarsi in top a lezione di ginnastica. Anche in questo caso è arrivata la protesta delle ragazze (appoggiate dai ragazzi) con immagini postate su Instagram : tutte indossavano un top sportivo sfidando il freddo e srotolando su un ponte lo striscione «Cambiate mentalità, non i vestiti».
Per mostrare solidarietà alle compagne si sono mossi anche gli studenti del liceo Zucchi di Monza, dove studenti e studentesse almeno per un giorno hanno abbandonato i jeans e si sono presentati indossando le gonne. In questo caso c'era l'avallo della dirigente Rosalia Natalizi Baldi, che ha approvato l'iniziativa degli studenti dell'ultimo anno contro «la sessualizzazione del corpo». La verità è che «il problema lo hanno tutte le scuole», come sintetizza Maria Teresa Corea, preside dell'istituto Amerigo Vespucci di Roma.
protesta mininigonne al liceo socrate 1
«Capita che vengano richiamati i ragazzi per il loro abbigliamento poco adeguato - ammette -. Il mio è un istituto alberghiero, quindi studentesse e studenti sanno che devono essere sobri, abituarsi a vestirsi in modo consono. Tacchi adeguati, scollature non eccessive: insomma, dare di sé un'immagine non volgare».
Anche Ludovico Arte, preside del Marco Polo di Venezia, concorda: «In tutte le scuole del regno ci sono ragazzi che si vestono in modo più o meno improbabile». Ma lui trova «sbagliato metterci a censurare il dress code dei ragazzi, perché bisognerebbe anche porsi il problema di quello degli adulti. Tanto per dirne una, qualcuno viene in ciabatte d'estate per la maturità. Questo non significa che sia tutto lecito: dovremmo fare un lavoro di educazione con i ragazzi, per far capire loro che ognuno è libero di esprimersi ma bisogna capire come si sta nei vari contesti».
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«Esiste un modo di vestire adeguato rispetto al contesto, indifferentemente dall'essere ragazzo o ragazza: ad esempio i calzoncini corti a scuola non sono opportuni - spiega Cristina Costarelli, dirigente del liceo scientifico Newton di Roma -. Ma quando si introduce il tema della disparità di genere (ad esempio dicendo di "non vestire in quel modo perché si diventa provocanti") il discorso cambia, è assolutamente non condivisibile ed è proprio un tema su cui si sta lavorando in senso contrario a livello educativo e formativo.
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Altrimenti finiremmo per avallare il ragazzo che si sente autorizzato a fare certi atti o a esprimere certi commenti perché la ragazza era vestita in tal modo». Allora, come comportarsi? Daniela Crimi, preside del liceo Ninni Cassarà di Palermo, sul dress code ha una posizione chiara: «I ragazzi possono esprimersi come vogliono, nel rispetto di se stessi e degli altri. Questo significa che se non sono in costume da bagno, e questo assolutamente non è consentito a scuola, ma sono in un abbigliamento dignitoso, possono indossare ciò che vogliono».
Ma non è solo una questione di regole. Ragiona Matteo Lancini, psicologo esperto di adolescenti e autore di numerosi libri di riferimento: «In passato la scuola rappresentava prevalentemente il luogo del sapere e degli apprendimenti. Negli ultimi anni, invece, i ragazzi e le ragazze vivono la scuola come un luogo dove poter esprimere se stessi in modo più ampio, dove si è adolescenti e non solo studenti.
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In questo senso la scuola è diventata un palcoscenico dove comunicare in modo esplicito chi si è, a volte anche la propria sofferenza e il proprio disagio. Per i ragazzi e le ragazze di oggi la questione centrale in adolescenza non è più la sessualità né la trasgressione ma la questione della visibilità, dell'essere visti. Il corpo è estetico e non sessuale, per questo è diventato del tutto normale esibirlo, così come, purtroppo accade in altre occasioni».
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