COSE DI COSA NOSTRA – NEL GIORNO DELL’ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI VIA D’AMELIO, SGOMINATA UNA COSCA DI INSOSPETTABILI: 34 ARRESTI – TORNA IN CARCERE IL BOSS PIETRO TAGLIAVIA, CAPO DEL CLAN DI BRANCACCIO – IN MANETTE ANCHE IL FRATELLO DEL COOPERANTE LO PORTO, RAPITO DA AL QAEDA IN PAKISTAN 

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Salvo Palazzolo per la Repubblica

 

GIUSEPPE LO PORTO GIUSEPPE LO PORTO

L’alba più bella sul golfo di Palermo è quella che vedi da Brancaccio, diceva sorridente don Pino Puglisi. Sarà. Ma è ancora notte sulla città. Una notte buia. E questa grande periferia fa paura. Strade deserte e auto della polizia che sfrecciano a velocità. Rumore di porte che sbattono e uomini che corrono. Non c’è pace per la terra del piccolo parroco martire della mafia dal 1993.

 

Nella terra del beato Puglisi c’era la nuova testa dell’acqua di Cosa nostra, la testa di una piovra ancora insidiosa, perché è riuscita a reclutare insospettabili in tutti gli ambiti della città. Nel blitz di stanotte contro 34 persone, coordinato dal procuratore Francesco Lo Voi, la sezione Criminalità organizzata della squadra mobile ha arrestato per associazione mafiosa anche il fratello di Giovanni Lo Porto, l’operatore umanitario rapito da Al Qaeda nel 2012, in Pakistan, e ucciso tre anni fa da un drone americano nel corso di un'operazione antiterrorismo.

 

Chi l’avrebbe immaginato che Giuseppe Lo Porto, il fratello maggiore che convocava le conferenze stampa per chiedere verità e giustizia al presidente Obama era un fidatissimo del capomafia di Brancaccio, Pietro Tagliavia, rampollo di una storica famiglia di mafia coinvolta nelle stragi del ’92-’93. Lo Porto si occupava della gestione della cassa e della distribuzione delle “mensilità” alle famiglie dei carcerati. Gli introiti arrivavano dalle estorsioni imposte a tappeto nella parte orientale della città, ma anche da alcuni affari adesso svelati dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria.

 

DIA DIA

Vecchi e nuovi boss, e sullo sfondo la riorganizzazione di Cosa nostra, nonostante gli arresti e i processi che si sono succeduti in questi anni. La mafia palermitana ha dato prova di grandi capacità di rigenerarsi. E ora è tornata ad essere la mafia degli insospettabili. Le indagini della squadra mobile e del Gico, coordinate dal pubblico ministero Francesca Mazzocco hanno portato in carcere un imprenditore che negli ultimi anni ha fatto fortuna con il business delle pedane di legno.

 

E’ Francesco Paolo Clemente. La nuova frontiera del riciclaggio è nelle false fatturazioni, ne hanno scoperte una montagna le fiamme gialle del comando provinciale, realizzate attraverso 35 società sparse fra Lazio, Puglia, Toscana, Liguria e Emilia Romagna, società che adesso vengono sequestrate. In totale sono stati messi sigilli a beni per 60 milioni di euro.

 

A Brancaccio, è arrivata l’alba del nuovo giorno. In un’alba come questa, il 19 luglio di 25 anni fa, Paolo Borsellino scriveva la sua ultima lettera, a un’insegnante e ai suoi studenti che l’avevano invitato. «Sono ottimista – diceva – perché vedo che verso la mafia i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa». Venticinque anni dopo, c’è ancora tanto da fare. Tagliavia era stato scarcerato nel 2011, dopo 8 anni di

 carcere, aveva subito preso il governo del clan, intanto fiaccato da altri arresti.

CARABINIERI CARABINIERI

 

Nessun imprenditore, nessun commerciante ha avuto la forza di denunciare gli esattori del pizzo mandati da Tagliavia. Il questore Renato Cortese dice: "Cosa nostra è in difficoltà,  ma ha ancora una presenza forte sul territorio. L'assenza di denunce è un segnale preoccupante, un passo indietro nella lotta alla mafia". Cosa nostra è tornata a fare paura a Palermo.

 

 

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