Simona Lorenzetti per torino.corriere.it
Due anni, sei mesi, 22 giorni, un’ora e 33 minuti. Un tempo che ha il sapore dell’eternità per un padre che attende di riabbracciare il figlio di 9 anni rapito dall’ex moglie. L’uomo tanto ha aspettato — da marzo 2019 a ottobre 2021 — prima di poter raggiungere la Romania e, scortato dalla polizia, fare irruzione nella scuola elementare per stringere il proprio bambino e scappare in Italia. Una fuga rocambolesca e fino all’ultimo incerta.
«Hanno provato a bloccarmi, le insegnanti hanno sbarrato la porta dell’istituto e gli agenti l’hanno buttata giù a spallate. Avevo i documenti in regola, eppure ho dovuto rifugiarmi in ambasciata». Il giorno dopo padre e figlio hanno percorso 450 chilometri con un bus. «Nove ore di viaggio per giungere in un’altra città, dove siamo stati ospitati da un amico. Poi la corsa all’aeroporto. Mio figlio mi ha stretto a lui per tutto il tempo».
L’arrivo a Torino è stata una festa: «La sorella non smetteva di coccolarlo. Non so quante lacrime ho versato e ancora adesso ho il magone a raccontare questa storia: ho temuto di non rivederlo più».
Una storia a lieto fine, costellata dalla sofferenza e dalla paura di non vedere mai più riunita la famiglia. Ora lui si gode i suoi figli: «Siamo stati in Danimarca, a Tivoli e a Legolandia. La prima vacanza insieme dopo lungo tempo. Loro sono la mia vita». Mentre l’ex moglie, una romena di 45 anni, è stata condannata a due anni e un mese di reclusione per sottrazione di minore e per aver violato le disposizioni del Tribunale che regolavano l’affido.
Nel frattempo, ha perso anche la potestà genitoriale e a ottobre sarà di nuovo sul banco degli imputati per aver picchiato la figlia maggiore con una chiave. Assistito dall’avvocato Marcello Ronfani, l’uomo si è costituito parte civile nel primo processo: «Non mi interessava il risarcimento, ho chiesto un gesto simbolico, una donazione a Save The Children».
Per sette anni sono stati una famiglia felice: nel 2007 nasce la prima bambina e nel 2010 il maschietto. Tre anni più tardi si separano. Il Tribunale stabilisce l’affido condiviso, ma i rapporti diventano conflittuali e non sempre la donna consente all’ex di vedere i figli. L’8 marzo 2019 la situazione degenera.
«Dovevo andare a prendere i bimbi a scuola, ero in ritardo e chiesi a un altro genitore di badare ai ragazzi per qualche minuto. La mia ex era fuori dall’istituto e ha fatto una scenata: li ha presi ed è scappata a casa. Li ho raggiunti, lei non mi ha aperto. Ho sentito urlare, poi il silenzio. Poco dopo mi telefona mia figlia, aveva 12 anni: era chiusa in bagno con il fratello ed era ferita. Ho chiamato la polizia».
L’episodio finisce davanti al giudice civile che stabilisce che la ragazzina venga affidata al papà e il piccolo alla madre. Pochi giorni dopo la donna prova a rapire la figlia maggiore. Non ci riesce, ma scappa in Romania con il secondogenito. L’uomo sporge denuncia: il pm Laura Ruffino apre un’inchiesta e il gip emette una misura cautelare nei confronti della madre, che viene arrestata nella città natale. Ma il bambino non torna casa.
«Mi impediva di vederlo, di telefonargli. Sapevo che lui trascorreva ore davanti alla Playstation. Così ne ho comprata una e mia figlia si metteva in contatto con il fratello con una videochiamata. Io ogni tanto lo salutavo con la mano e restavo in silenzio. Se la madre avesse sentito la mia voce, avrebbe interrotto la comunicazione. Non volevamo perdere quell’unica possibilità di vederlo».
Disperato, il genitore attiva le procedure previste dalla Convenzione dell’Aia per riportare in Italia il ragazzino. Si reca più volte in Romania per incontrarlo, ma la famiglia materna fa scudo e in un’occasione viene malmenato: «Ho fatto dentro e fuori dai tribunali italiani e romeni. Ho rinunciato a fare carriera al lavoro per aver tempo libero e affrontare tutte le trafile burocratiche. Mi sono sottoposto a ogni verifica richiesta dai servizi sociali, come se fossi un genitore inadatto. Ma ne è valsa la pena».
Quattro tentativi di «prelievo forzato» vanno a vuoto nonostante l’autorizzazione dei giudici romeni. Poi a ottobre 2021, in piena pandemia, la svolta e il ritorno a casa del piccolo tra le braccia del papà e della sorella.