Giuseppe Del Bello per “la Repubblica - Salute”
La pancia che fa le pieghe, il seno che scende, i glutei che non somigliano, mannaggia, a quelli di Belen. Difetti, veri o presunti, quanti ce ne sono. E quasi quasi, la colpa è dello specchio. Che rimanda, proprio ora alle porte dell’estate e quando di fronte c’è solo lui, un’immagine che non piace. L’odioso riflesso dell’imperfezione di cui, vero o no, sembrano accorgersi gli altri ancor prima dei diretti interessati. E allora entra in gioco il chirurgo plastico.
Il grasso addominale, quello resistente e spesso conseguenza di drastiche diete, è democratico però, perché affligge maschi e femmine nella stessa misura. Nella classifica americana (ma l’Europa segue a ruota) degli interventi di rimodellamento, l’addominoplastica (per eliminare l’eccesso di pelle e grasso tra ombelico e pube) è al quinto posto.
Con un incremento, secondo l’American Society of Plastic Surgeons, del 9%, la tecnica tradizionale si effettua tirando la pelle dall’alto verso il basso, con un’incisione sopra il pube che va da una spina iliaca all’altra.
«Fino a qualche anno fa era un intervento molto invasivo - premette Mario Pelle Ceravolo, presidente dell’Associazione italiana di Chirurgia plastica estetica (Aicpe) - e a rischio complicanze, come l’anomalo accumulo di liquido o la necrosi della pelle. Ma anche di cicatrici troppo visibili. Oggi invece, con la tecnica combinata (liposuzione e addominoplastica), si ottengono risultati migliori con cicatrici più che accettabili e meno rischi. Ovviamente, va effettuata in regime di ricovero e non in ambulatorio».
Meno praticata, ma rispolverata da molti specialisti, ecco la tecnica “inversa”: capovolgendo lo schema classico che comporta il riposizionamento dell’ombelico dislocato insieme alla pelle, prevede l’eliminazione dell’eccesso cutaneo adiposo, sollevando la cute dal basso verso l’alto.
Un tempo in voga negli Usa, è stata riproposta recentemente a Sorrento da Marco Moraci, chirurgo plastico e ricercatore al II Ateneo di Napoli: «In questo caso, si parte da un’incisione effettuata nelle pieghe sotto i seni, trazionando la pelle tirata verso l’alto. Così, si evitano segni intorno all’ombelico e le cicatrici restano nascoste nei solchi al di sotto del seno». Invertire il senso di trazione è dunque l’uovo di Colombo? A prima vista, forse. Ma qualche distinguo è d’obbligo.
«La tecnica inversa, utilizzabile quando l’area sotto l’ombelico non ha bisogno di miglioramenti, presenta limiti che la relegano in una quota statisticamente molto limitata - spiega Pelle Ceravolo - e questo perché per effettuarla è necessaria una delle due condizioni: cicatrici già presenti sotto le pieghe della mammella o un programma operatorio che prevede l’esecuzione in contemporanea di un intervento di mastoplastica con le classiche incisioni».
Per chi è meno esigente e non ne ha neppure tanto bisogno, resta l’opzione miniaddominoplastica: poco invasiva, assicura buoni risultati. «Quando, oltre alla flaccidità e al grasso in eccesso si deve correggere l’indebolimento delle fasce muscolari dell’addome, soprattutto nelle donne che hanno avuto più gravidanze - precisa Pelle Ceravolo - si deve procedere a una sutura per riaccostare i muscoli tra loro».
Ma i successi della chirurgia estetica attuale premiano il lipofilling, cioè il trapianto di grasso da un’area dove ce n’è troppo a un’altra dove manca.
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«Una delle finalità più importanti è il riempimento di un volto svuotato dall’invecchiamento», spiega Pelle Ceravolo. Rischi pochi e limitati, per lo più, all’impianto eccessivo di grasso e a un tessuto non idoneo perché già segnato da cicatrici, oppure a un volto che presenta marcata lassità della pelle. «In quest’ultimo caso aggiunge il chirurgo - il troppo grasso potrebbe stravolgere i lineamenti. È preferibile in situazioni del genere ricorrere al lifting facciale, un lifting che riporta un volto a com’era 15 anni prima. Senza cicatrici e in modo naturale».
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Quasi a pari merito, ma stavolta appannaggio del pubblico femminile, ci sono le protesi mammarie. La mastoplastica additiva infatti, insieme a rinoplastica e liposuzione, figura tra gli interventi più gettonati. La prima protesi del seno risale al ‘62 e da allora, nonostante i periodici allarmi, la scienza non ha mai trovato alcuna evidenza di casualità col cancro.
L’unica conseguenza (possibile e non scontata), rivela lo specialista, è stata per anni il cosiddetto “indurimento” delle protesi: dovuto a una reazione naturale dell’organismo che crea una membrana naturale per isolare il corpo estraneo, la protesi appunto. «Se quest’ultima si contrae, diventa più dura o può cambiare sede fino a migrare verso l’alto».
Un risultato più naturale si raggiunge grazie alla protesi a goccia o anatomica. Ma questa forma, leggermente svuotata in alto e piena nella parte inferiore, espone a una rotazione fino a 180 gradi, col rischio di ritrovarsi un “seno a palla”. E allora? «La protesi al poliuretano sembra avere risolto ogni problema», replica Pelle Ceravolo. E infine, le palpebre. Anche per loro, il grasso sembra essere utile. Ringiovanisce gli occhi senza svuotarli, rendendoli un po’ a mandorla, quel vezzo estetico tanto glamour e così contemporaneo.