Daniela Mastromattei per "Libero quotidiano"
Si cerca sempre di tirare a lucido il proprio ego per apparire migliori. Non è sempre roba da presuntuosi. È nella natura umana considerarsi più bravi e competenti di quanto si è realmente. Abbiamo la tendenza a giudicarci con più ottimismo rispetto a come a volte "condanniamo" gli altri. È «l'asimmetria tra la conoscenza di sé e quella dell'altro», spiega Simine Vazire, professoressa di Psicologia dell'Università della California. La maggior parte degli individui si ritiene superiore alla media, c'è poco da fare. E dunque le caratteristiche che si vorrebbero avere e che più difficilmente si possono esaminare sono predestinate a una sorta di «abbellimento».
Difficile convincersi di essere un adone se così non è. Più facile credere e cercare di dimostrare agli altri di essere intelligenti, di avere delle particolari capacità, di essere sinceri e affidabili. La definiscono "Centralità del sé", alcuni ricercatori guidati da Constantine Sedikides dell'Università di Southampton nel Regno Unito, che hanno formulato la teoria secondo la quale per tratti che consideriamo fondamentali, tendiamo a sopravvalutarci più che in campi meno significativi. Uno sterile esercizio di sovrastima?
Oppure è vero un altro concetto, ossia più positiva è l'etichetta che ci assegniamo più siamo disposti ad aderirvi, secondo la "profezia che si avvera". È stato dimostrato durante alcune ricerche che il semplice fatto di credere di non essere bravi a fare calcoli può far sì che gli individui ottengano risultati peggiori nei test di matematica. Al contrario, un'eccessiva fiducia in sé stessi aumenta le chance di successo nello svolgimento di esercizi complessi.
LA PSICOLOGA «Avere fiducia in sé stessi è fondamentale nel rapporto con sé stessi, scusate la ripetizione necessaria. È sicuramente il rapporto più intimo, complesso e duraturo che portiamo avanti per tutta la vita», conferma la psicoterapeuta Emma Cosma raggiunta al telefono. «E corrisponde a un'immagine di sé in grado di vivere un vita serena ed equilibrata; altrimenti si innesca un circolo vizioso per il quale si tende a svalutarsi e sottoporsi a critiche severe che servono solo a buttarsi giù e ad abbassare il proprio stato vitale», aggiunge.
«L'autostima, nonostante sia un processo in continua evoluzione, comincia a delinearsi fin dai primi anni di vita e rappresenta il valore che ognuno attribuisce a se stesso. Tale valore non è pre-esistente, si costruisce attraverso i rapporti con genitori, fratelli, nonni, parenti frequentati abitualmente», spiega la Cosma.
«Un'idea di sé stesso il bambino comincia a farsela a partire dalle prime informazioni che riceve dal mondo esterno. Ciò significa che quando i genitori lo supportano e lo sostengono nelle sue scelte, manifestando affetto e facendolo sentire degno d'amore, creano le basi per la costruzione di una solida autostima. E anche quando devono vietare determinati comportamenti contrassegnando questi ultimi come sbagliati, senza dare giudizi di valore sul bambino - vale a dire "quello che hai fatto è sbagliato" e non "tu sei sbagliato" o "sei cattivo" - contribuiscono alla realizzazione di una sua immagine positiva».
Insomma la percezione che ognuno di noi ha delle sue peculiarità e dei suoi talenti dipende da numerosi fattori, dalle prime esperienze ai modelli di pensiero che via via vengono assorbiti negli anni fino ai primi confronti sociali. «Crescendo, il bambino si scontrerà con una realtà ben diversa da quella familiare, dove la fiducia in sé stesso verrà messa a dura prova. Ma è anche vero che l'autostima si autoalimenta con le esperienze positive e con il successo. L'importante e saper riconoscere anche gli errori, e su questi riflettere, ma senza sgridarsi o colpevolizzarsi», conclude Emma Cosma.
ATTENTI AI PALLONI GONFIATI In sintesi avere una visione di sé eccessivamente positiva ci facilitala vita, come sostiene Robert Trivers, studioso di biologia sociale e biologia dello sviluppo, «dobbiamo essere i primi a credere alle storie che vogliamo raccontare a chi ci sta di fronte; comunque crederci facilita le cose». Non solo. Ci fa procedere con più decisione e digerire meglio le sconfitte. Ma guai ad apparire come degli sbruffoni, mai farsi vedere come dei presuntuosi.
È vero un ego orgoglioso e un comportamento prudente costituiscono il mix ideale per raggiungere il successo, ma è importante il modo con il quale ci si relaziona con il mondo. Gli uomini (e le donne) di maggior successo sono coloro che hanno un'alta concezione di sé stessi, ma che riescono a non mostrarla nei rapporti con gli altri. Tuttavia, ci possono essere delle falle nella percezione. Accade quando in un determinato campo si hanno scarse capacità e si tende a non riconoscere la propria incompetenza per scarsa onestà intellettuale.
È pronto a una lettura più benevola lo psicologo David Dunning, secondo cui l'ignoranza relativa alla propria incompetenza riguarda soprattutto i principianti, coloro che, nel campo in questione, non hanno ancora la sicurezza necessaria per valutare adeguatamente le proprie capacità. Per usare una riflessione di Freud: «La magia della fiducia in sé stessi è che non ci permette di essere vittime della nostra vita, ma ci costringe a viverla consapevolmente, con amore per noi stessi e per gli altri».
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