Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Ritirarsi da Severodonetsk per avanzare su Kherson: così i comandi ucraini tentano di trasformare la loro sconfitta nel Donbass in possibilità di rivincita nelle regioni meridionali. Arrivando ieri a metà giornata nella cittadina di Bakhmut e in quelle che saranno presto le nuove prime linee ucraine dopo il ripiegamento dal Lugansk non è stato difficile cogliere l'umore depresso e doloroso della sconfitta, accompagnato però dalla convinzione per cui la «ritirata strategica» dalla città devastata di Severodonetsk sarà funzionale a organizzare la resistenza da posizioni migliori e addirittura salvare soldati che potranno rivelarsi utili per rafforzare la controffensiva verso Kherson e la Crimea.
Ma, prima di parlare di avanzate ucraine, è bene spiegare il significato della ritirata dal Lugansk. «Severodonetsk ormai dal punto di vista strategico aveva perso ogni importanza. I russi l'avevano distrutta al 90 per cento con l'artiglieria pesante e i nostri soldati erano isolati. Abbiamo fatto bene a ritirarli verso Lysychansk, sulla sponda occidentale del fiume Siversky Donets, dove potranno combattere molto meglio. Ora all'interno della fabbrica chimica Azot, dove erano asserragliate le ultime unità, restano circa 500 civili, che purtroppo diventeranno ostaggio dei russi», ci ha raccontato ieri in serata il governatore del Lugansk, Serhiy Haidai, lo stesso che in mattinata aveva annunciato il ritiro.
La spiegazione è condivisa da politici e militari ucraini, molti dei quali già da tempo consideravano un «inutile spreco di soldati e armi» continuare a tenere una città funzionale forse per facilitare gli ipotetici tentativi di controffensiva in futuro, ma senza dubbio ormai impossibile da difendere e col rischio grave di avere i propri soldati totalmente circondati e costretti alla resa come accadde a Mariupol a metà maggio. Il problema grave per i comandi di Kiev è che adesso anche la sorte di Lysychansk appare segnata.
«I collegamenti con la città sono ormai quasi impossibili. Siamo forse al momento di più grave difficoltà del nostro esercito. Nulla a che vedere con l'euforia seguita alle nostre vittorie di marzo-aprile, quando eravamo riusciti a scacciare i russi dalla regione di Kiev e persino bloccato le loro colonne fuori Kharkiv. Qui nel Donbass i russi non fanno che guadagnare terreno da due mesi, nelle ultime ore hanno occupato i villaggi di Zelote e Toshkivka, presto chiuderanno il cerchio anche su Lysychansk e noi dovremo riprendere a ripiegare se non vorremo restare intrappolati», spiega Illia, un soldato 28enne originario di Kharkiv inquadrato con la 72esima brigata, che incontriamo mentre fa la spesa in uno dei pochi negozi alimentari rimasti aperti a Bakhmut.
Sul suo giubbotto antiproiettili ha scritto in biro nera un ben visibile «memento mori». «Ho scelto di combattere in questo settore così insanguinato per le nostre truppe quando mi sono reso conto che le nostre vite non hanno senso se non servono a giustificare la nostra morte. Qui rischiamo tutti, ma combattiamo la battaglia della civiltà contro la barbarie, difendiamo la democrazia europea contro la dittatura di Putin», dice con la serietà caparbia dei vent' anni. Sul fronte russo intanto si canta vittoria.
I separatisti del Donbass alleati di Mosca affermano di avere ucciso un migliaio di nemici e catturato quasi altrettanti negli ultimi giorni. Anche le armi alleate e l'arrivo sul terreno dei lanciamissili mobili Himars americani non sembrano in grado di fare la differenza. «Purtroppo giungono tardi e ancora in quantità insufficienti. I russi bombardano a tappeto tutto ciò che sta sul loro cammino, usano tattiche brutali, primitive, devastanti, però servono per farli avanzare», dice Piotr, ufficiale poliziotto di Bakhmut molto preoccupato sulle sorti della sua città.
«Presto potremmo venire ridotti in macerie anche noi», esclama. Non è però detto che la conquista russa della provincia di Lugansk apra tanto facilmente la strada per quella di Donetsk (già occupata per metà) e quindi dell'intero Donbass. Gli ucraini stanno infatti rilanciando la sfida per Kherson. Ieri iniziavano a girare i filmati delle unità d'attacco nella periferia della città che avevano perso in marzo.
Al loro fianco stanno agendo le forze speciali infiltrate nelle retrovie russe assieme alla guerriglia partigiana. Presi di mira con minacce e attentati sono anche i collaborazionisti locali, che hanno scelto di lavorare con le forze di occupazione. Lo testimonia, tra le tante, la morte ieri di Kirill Stremousov, un funzionario saltato in aria nella sua auto ieri mattina.
civili nella FABBRICA CHIMICA AZOT severodonetsk civili nella FABBRICA CHIMICA AZOT severodonetsk
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