1 – COSÌ FUSCO DESCRISSE L’ITALIA (DI OGGI) NEGLI ANNI SESSANTA
Estratto dell’articolo di Paolo Bianchi per “il Giornale”
Rispetto ad altri critici del costume a lui contemporanei, come Ennio Flaiano nella letteratura e nel giornalismo, Marcello Marchesi nella scrittura anche pubblicitaria e pop, Dino Risi, Mario Monicelli, Ettore Scola nel cinema, Age & Scarpelli nella sceneggiatura, Gian Carlo Fusco appare oggi, e diciamo pure ingiustamente, più defilato.
Eppure è stato un intellettuale fra i più affascinanti del Novecento italiano. Un vero e proprio personaggio, artista anche nella vita. Un libro ci dà una mano a incontrarlo, e chi non l’avesse mai conosciuto lo può addirittura riconoscere, come se già l’avesse letto in passato, tanto egli ha influenzato molte altre personalità più famose.
Il volume, intitolato come una rubrica che Fusco tenne sul mensile Successo tra il 1959 e il 1963, s’intitola Arpa e cannone (Aragno, collana Ante litteram diretta da Luigi Mascheroni, pagg. 286, euro 30) ed è curato da Dario Biagi […]
Ci sono i primi travestiti, esibiti nei night club come punte di diamante di elusione morale, di trasgressione parigina; le figlie bambine degli avvocati che urlacchiano in salotto incoraggiate dalla famiglia adorante a diventare cantanti sanremesi. Mike Bongiorno e il medioevo dei telequiz. Lapidi commemorative in onore di domatori di tigri.
È già la società falsificata dello spettacolo, insomma. Che Fusco conosceva bene, lavorando anche come sceneggiatore di cinema, autore teatrale e radiofonico, attore. Un mondo di nuovi idoli, costruzioni di sogni collettivi, come la Anita Ekberg della Dolce vita, che si presenta a una serata di presentazione alla Terrazza Martini di Milano, sfolgorante e plastica come la polena di una nave vichinga, ma i cui tratti del volto a poco a poco si trasfigurano nella maschera di un gerarca nazista.
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Civetteria, vanità, narcisismo. Tratti comuni nella popolazione, ma soprattutto in quella borghese. Esemplare il pezzo «Cento pittrici», che descrive una mostra tutta al femminile, con le protagoniste avide di elogi e gli uomini trincerati dietro il loro maschilismo.
La satira si abbatte soprattutto sui borghesi, sui neoricchi, sui miliardari cafoni, sugli arrampicatori sociali, sui privilegiati arroganti.
Molto di rado Fusco sbeffeggia il proletariato, anzi ne certifica la fatica di vivere, e così facendo mostra una compassione profonda: i poveri che vanno ai Mercati generali per aggiudicarsi a miglior prezzo la verdura guasta. Una donna reduce dalla morte di un figlio al quale non aveva fatto in tempo a soddisfare un modesto desiderio. Ex fascisti traditi dalle promesse di un regime buffonesco e dalle sue tragiche conseguenze. […]
2 - SE L’ANTIFASCISTA METTE VOGLIA DI VOTARE MSI
Dal volume “Arpa e cannone” (Aragno) traiamo l’articolo di Gian Carlo Fusco “Gioventù senza zanzare”, uscito sulla rivista “Successo” nel maggio 1961
Montanelli è preoccupato. L’Italia d’oggi non piace ai giovani. Molti di essi, che alla fine della guerra frequentavano dignitosamente l’asilo, stanno ripiegando sul passato regime.
S’iscrivono all’M.S.I. Risalgono idealmente l’erta degli anni. Scavano fra le macerie morali e materiali dell’altroieri, per raccogliere e spolverare le vecchie immagini neglette, le parole d’ordine derise, il corporativismo e la romanità.
Il tono beffardo e irriverente degli anziani antifascisti, quando discorrono del “ventennio”, urta e ferisce questi giovani che la democrazia, per quanto si metta in décolleté, non riesce a sedurre. Per fortuna, nel ripostiglio più geloso delle loro camerette, conservano le vecchie fotografie scampate ai falò del luglio ’43 e dell’aprile ’45. Le contemplano assorti. Dimenticano la pena di essere giovani in questo 1961, così piatto e incolore, tuffandosi con l’immaginazione nelle adunate oceaniche, nelle masse galvanizzate, nelle esultanze solari dell’era littoria.
Solo la speranza che qualcosa di quegli anni ritorni, li aiuta a sopportare gli squallori della democrazia e l’ottusità ridanciana degli anziani antifascisti. Rinunciano alle nazionali, al cinema con la ragazza, alla partita domenicale, per corroborare, nel loro piccolo, le casse missine. È duro, aver vent’anni con vent’anni di ritardo! A che servono questi vent’anni, quando non c’è più un casco coloniale da mettersi, qualche zanzara albanese per prendersi un po’ di malaria, un’occasione di congelamento? È spaventosa, a vent’anni, l’idea d’invecchiare così, sani, con tutte e due le gambe, tutt’e due le mani, il naso, gli occhi, tutto!
No, i giovani che allo scoppio della guerra scalciavano ancora nelle viscere materne, non credono ai racconti grossolani e buffoneschi degli anziani antifascisti, secondo i quali il regime non fu che una lugubre farsa. Anzi, a furia di ascoltarli, si sono convinti del contrario. E per dimostrarlo, s’iscrivono all’M.S.I.
Tutto ciò preoccupa Montanelli, il quale, sotto la sua buccia strafottente, è più sensibile di quanto s’immagini. Con qualche apprensione da chioccia politica. Tanto che, giorni or sono, dalle colonne del suo giornale, si è rivolto ai suoi amici e coetanei antifascisti più o meno così: «Se le nostre sghignazzate urtano la suscettibilità di questi ragazzi assetati di obbiettività, smettiamola una buona volta di mettere alla berlina il passato regime. Sorridiamone, al più, e con la massima discrezione. Forse è l’unico modo per tamponare l’emorragia dei giovani verso l’estrema destra».
Siccome fra gli antifascisti di mezza età amici di Montanelli ci sono anch’io, ho il diritto d’interloquire. Dicendo che non solo continuerò a sghignazzare liberamente del fascismo (le cui vittime soltanto, comprese quelle che ci credettero, ispirano rispettosa tristezza), ma anche di questi giovanotti che nel 1961, anziché sognare la Loren, sognano Mussolini e s’iscrivono all’M.S.I.
Che c’è da preoccuparsi? I più intelligenti, prima o poi, torneranno in qua. I fessi resteranno là. Finché, al primo 25 luglio che capita, non li ritroveremo più né là, né qua, né sotto, né sopra. O che un teli rammenti, Indro, i loro babbi?