Alessio Lana per il “Corriere della Sera”
Dobbiamo proteggere la salute mentale e fisica dei minori e quindi farli giocare meno con i videogiochi. L'ultimo attacco al mondo dei videogiochi non viene dalle organizzazioni per la protezione dei più piccoli o dalle associazioni di psicologi e psichiatri.
Arriva direttamente dal governo di uno dei maggiori produttori al mondo di divertimenti online: la Cina. Il Paese ha appena adottato delle nuove regole che limitano il tempo passato davanti allo schermo dai minorenni.
Chi ha meno di 18 anni può giocare online per massimo un'ora al giorno, dalle 20 alle 21, e solo il venerdì, nel weekend e durante le feste, per un tetto massimo di tre ore settimanali.
Una scelta dura per un settore che solo in Cina vale intorno ai 50 miliardi di dollari (ed è previsto che cresca fino a 80 miliardi entro il 2027) e in cui i ragazzi (parliamo pur sempre di under 18) hanno un ruolo rilevante. Hanno più tempo, sono curiosi, sempre aperti alle novità e ormai abituati all'enorme quantità di pubblicità che ricevono durante le sessioni online.
Eppure la stretta segue una linea adottata da tempo dal Paese. Una norma precedente infatti limitava il tempo di gioco in Rete a un'ora e mezza al giorno tutti i giorni che salivano a tre nei weekend ma mai dopo le 22 né prima delle 8.
Sempre poco, secondo gamer, ancora troppo secondo il governo (e i genitori). Per fare in modo che le regole vengano rispettate, l'autorità cinese ha chiesto alle aziende di assicurarsi che i minori si registrino online con le loro vere generalità.
Tencent, uno delle maggiori software house al mondo, ha perfino sviluppato un sistema di riconoscimento facciale ad hoc. Le limitazioni infatti funzionano solo se gli utenti si registrano con la loro data di nascita e come era facile immaginare sono tanti i ragazzi che usano i documenti degli adulti per aggirare le barriere e non spegnere mai lo schermo. La seconda mossa annunciata da Pechino è una stretta sui controlli per fare in modo che nessuno sfugga.
La questione dopotutto è seria, lo si intuisce chiaramente dalle parole usate dalle autorità. A inizio agosto un rapporto di Pechino aveva definito i videogiochi «oppio spirituale», ora si parla di «dipendenza da videogiochi», si chiama in causa la protezione della «salute mentale e fisica dei minori» e si chiede ai produttori - in primis ai colossi Tencent e NetEase che continuano a vedere le proprie azioni crollare a ogni nuovo annuncio - di «dare sempre priorità al bene sociale e rispondere attivamente alle preoccupazioni della società».
A quanto pare anche il comunismo di oggi deve affrontare il suo oppio dei popoli, solo che ha cambiato faccia.