Filippo Facci per “Libero quotidiano”
Vi raccontiamo un giorno di ordinaria follia in un qualsiasi tribunale lombardo al tempo del Covid-19: perché se ne parla poco, perché la giustizia è importante, e soprattutto perché rende evidente che chi ha redatto i decreti legge non conosce i tribunali (ma dovrebbe conoscerli: da imputato) e perché tra le difficoltà di tanti lavoratori ci sono anche queste. Sapendo come funzionava prima la macchina giudiziaria, figuratevi adesso. Nomi non ne facciamo e non menzioniamo neppure il tribunale, non perché pensiamo che i giudici in particolare siano cattivi: o forse sì, proprio per questo. Allora. È una causa civile, un divorzio.
Sappiamo però che l' 8 marzo scorso c' è stato un primo famoso decreto legge (n.11) che tra le altre cose stabiliva che ogni udienza e termine processuale civile veniva rinviata al 15 aprile. Sino a quella data, quindi, tutto fermo. Giudici e avvocati. Ma l' avvocato del marito divorziando fa notificare un atto alla sua (quasi) ex signora l' 11 marzo scorso, cioè già fuori tempo, quando noi lombardi eravamo già asserragliati in casa: evidentemente il marito aveva qualche amico tra gli ufficiali giudiziari, niente di grave.
Poi però sappiamo che è spuntato un altro decreto (n.23) che ha spostato il termine del 15 aprile all' 11 maggio, lunedì scorso. Sino a questo lunedì, cioè, sarebbe stato impossibile fare udienze e depositare atti (la giustizia è fatta di questo) un po' come succede nel periodo estivo dal 31 luglio al 1° settembre, quando la giustizia se ne va accoratamente in vacanza. Per essere ancora più chiari. Se un giudice prima dell' emergenza Covid avesse fissato il 27 marzo come termine per depositare un atto, si era deciso che non doveva più essere depositato il 27 marzo bensì l' 11 maggio. Poi, vabbeh, in mezzo a tutto questo ci sarebbe la chimera delle udienze online: le fanno le maestre con gli studenti, dovrebbero farcela anche i tribunali, magari con strumenti un po' più accorti.
Ma torniamo al nostro divorzio, a titolo esemplare. Il Tribunale in questione, il 20 marzo, rinvia l' udienza al 13 aprile contando di seguire appunto le abborracciate direttive sulle udienze online: la regola vuole che il giudice si colleghi dal Tribunale e con gli studi degli avvocati coi loro clienti. Facile a dirsi. Rendere l' udienza valida e decente non è sempre facile (problemi di privacy: chiunque potrebbe nascondersi sotto una scrivania a suggerire, come tra l' altro fanno i genitori con i figli che si collegano alle scuole) e infatti nel nostro caso succede che il nostro giudice si spazientisce e decide che no, troppo casino, non si può fare; giudica impraticabile l' udienza online, si va ad aggiornarsi. A quando, a maggio? Ancora online? No, al 30 aprile. Ma come, ancora col casino online? No: il giudice deposita, il 30 marzo, un provvedimento in cui dispone la trattazione «scritta» dell' udienza del 13 maggio.
Di che si tratta? Queste nuove udienze «a trattazione scritta» comportano il deposito di atti in cui l' avvocato scrive e sintetizza ciò che avrebbe detto in udienza. Questi atti scritti ovviamente devono essere inviati online perché le cancellerie sono irraggiungibili (non ti fanno proprio entrare) e comunque il sistema online è un po' come quello dell' Inps: fa schifo. Vada come vada: il giudice dispone che i due avvocati debbano depositare un' autorizzazione scritta (rinunciando all' udienza orale) entro il 6 maggio, dopodiché dispone che l' avvocato della moglie depositi un atto entro il 9 maggio dove scriverà quello che avrebbe detto in udienza. Non so se avete notato un altro piccolo dettaglio: i termini indicati (entro il 6 maggio per depositare l' autorizzazione, entro il 9 maggio per mettere per iscritto la difesa orale) sono ancora entro il periodo di sospensione indicato dal governo, quello dell' 11 maggio: quindi non si potrebbe fare.Fa niente. Il giudice ha detto così, vedremo di arrangiarci.
Si fa buon viso a cattivissimo gioco e avvocati e clienti - un po' tutti, non solo questi del divorzio - sono anche un po' in balia delle decisioni arbitrarie dei giudici che a loro modo cercano di cavarsela rispetto a decreti scritti coi piedi: ma sono pur sempre loro a decidere. E torniamo a palla sul nostro divorzio. L' avvocato della moglie chiaramente deve far pervenire il suo atto perché altrimenti il giudice avrebbe deciso solo in base a quello scritto dall' avvocato del marito: perciò si attiva, scrive, raccoglie la firma della cliente e cerca di depositare l' atto online. Lo fa, o crede di averlo fatto.
Ma il giorno dell' udienza «scritta» sul computer dell' avvocato compare una scrittona raggelante: «Errore fatale». Fatale. La cancelleria ha rifiutato l' atto, non l' ha recepito, preso, accettato, sa il cazzo. È una tragedia: il giudice avrebbe giudicato sul divorzio solo in base all' atto del marito. Disastro. L' avvocato della moglie vive in una città lontana dal tribunale e allora piglia la macchina e si sposta fisicamente per far avere l' atto: ma all' ingresso trova i carabinieri che non la fanno entrare. Per il Covid, certo. Ha un appuntamento in cancelleria? «No, ma devo solo». «Non può entrare». L' avvocato cerca di spiegare che c' era una scadenza e deve solo lasciare il maledetto atto in cancelleria, che prova a contattare per telefono ripetutamente. Non risponde.
Non risponde. Allora l' avvocato, disperato, mostra le carte ai carabinieri, fa vedere che l' udienza è fissata per quel giorno, alla tal ora, sicché i carabinieri dicono che proveranno a parlare con il giudice. Vanno. Tornano. Dicono che il giudice non c' è. Come non c' è? E l' udienza?
Lei insiste, i carabinieri provano a chiamare personalmente la cancelleria, che ecco, a loro risponde subito: e passano il telefono all' avvocato. La tizia della cancelleria, serafica, comunica che il sistema online del Tribunale (Polis) è andato in palla e non accetta atti né altro. La stessa signora dice di mandarle tranquillamente l' atto per mail e di non preoccuparsi: stanno tutti sclerando, in quei giorni, e anche «il giudice deve darsi una calmata».
L' avvocato torna stordito in studio e manda la sua mail all' indirizzo che la tizia le aveva detto. Dunque, con una mail, l' avvocato e la sua cliente tornano ad esistere e risultano processualmente costituiti. Che bello. Più tardi, però, l' avvocato apprende che il delirio giudiziario in realtà si è diffuso come un virus in tutti i tribunali della Lombardia.
A Milano, solo per avere informazioni, ci sono code interminabili e comunque senza un appuntamento in cancelleria non vai da nessuna parte, e al telefono non rispondono.
E non si parla solo di divorzi: ci sarebbero udienze più complesse, con molti testi, non si capisce come potranno sentire così tanti testimoni per «iscritto» o con la modalità online che va in palla. Intanto i magistrati fanno, disfano, convocano, annullano e rinviano: tutto in un loro mondo parallelo dove le cose continuano a funzionare semplicemente come prima, cioè soltanto male. Dicono che il Covid stia provocando molti divorzi. Per discuterli in tribunale, magari prendetevi un po' di tempo.
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