Francesco Grignetti per "la Stampa"
C' è un numeretto che racconta impietoso il disastro della giustizia italiana: per avere una sentenza civile di primo grado, in media occorrono 884 giorni, pari a due anni e mezzo. Se poi si guarda al secondo grado, c' è da farsi cadere le braccia. Una sentenza di appello arriva, in media, dopo 1. 196 giorni. In tutto, si superano i 2.000 giorni, ovvero cinque anni e mezzo. E c' è ancora la Cassazione.
Questo racconta l' ultima fotografia del processo civile, aggiornata al 2020, appena licenziata dalla direzione statistica del ministero della Giustizia. E la cosa più grave è che gli indici peggiorano.
Il Covid ha rallentato la macchina della giustizia con i suoi obblighi di udienze a distanza. Perciò si capisce meglio l' angoscia della ministra Marta Cartabia, che all' ultimo incontro con i capigruppo della maggioranza ha lanciato una sorta di ultimo appello ai partiti: «Sulla durata dei processi - ha detto la ministra - il governo si gioca tutto il Recovery.
Non solo i 2,7 miliardi del Pnrr destinati alla giustizia, ma i 191 miliardi destinati a tutta la rinascita economica e sociale italiana».
Il passo del gambero
Le cose, statisticamente parlando, vanno davvero male.
E l' Unione europea ci ha concesso i ricchi fondi del Recovery, vincolandoli a tre obiettivi cruciali, strategici. Uno è la velocizzazione del processo civile. Obiettivo della riforma del processo civile quindi, come richiesto dalla Commissione Europea, è un taglio del 40% dei tempi dei procedimenti civili entro i prossimi cinque anni.
La cruda realtà del rapporto della direzione statistica dice però che stiamo andando nel senso opposto. La giustizia civile infatti è una zavorra per l' economia italiana e sembra che abbiamo pure adottato il passo del gambero. Nell' ultimo anno vi è stato un aumento del 3,8% nella durata effettiva di un procedimento in corte d' appello. Stazionari invece i tempi per i procedimenti in primo grado.
Effetto pandemia
C' è un altro elemento che angoscia non poco la ministra: causa Covid, nel corso del 2020 i procedimenti sono stati molto meno del solito. Un effetto abbastanza prevedibile a seguito dei periodi di lockdown e del congelamento dell' economia. Così - si legge nel rapporto - «sia le iscrizioni, sia le definizioni hanno avuto un brusco calo nell' ultimo anno (rispettivamente del 33% e del 32%), anche in connessione con le misure emergenziali adottate».
Per citare qualche numero, sono state 286. 403 le nuove cause civili contro le 427.
830 dell' anno precedente (in linea con i numeri dei cinque anni precedenti). Questo però significa che l' anno prossimo arriveranno tutte assieme, vecchie e nuove. E per di più ci sarà da gestire l' onda lunga della pandemia in termini di fallimenti e licenziamenti. Lo disse nel suo discorso d' insediamento, a marzo scorso: «È in arrivo un diluvio di contenziosi».
Sei anni per un fallimento
Su tutta l' area che interessa l' economia, in particolare, la situazione è quasi catastrofica. Se si prende in esame il registro SIECIC, quello che comprende le tre macro-materie delle esecuzioni mobiliari, esecuzioni immobiliari e procedure concorsuali come le istanze di fallimento, la durata effettiva in primo grado nel 2020 è aumentata del 21, 3% rispetto al 2019.
Ci vogliono 1.928 giorni per un' esecuzione immobiliare (erano 1.364 nel 2014). E occorrono addirittura 2.766 giorni per definire un fallimento (contro i 2.748 dell' anno precedente). Sono quasi sei anni.
«Il trend di crescita della durata - riconosce il ministero - è costante dal 2014. Su di esso ha influito in maniera preponderante l' andamento delle esecuzioni, mobiliari e immobiliari. Nell' ultimo anno tutte le macro-materie presentano una durata effettiva in crescita. L' aumento è da collegare alle misure emergenziali adottate».
L' aumento di durata nel 2020 ha risentito, oltre che della crescita dell' indice di durata effettiva in tutte le materie, anche della più forte contrazione dei procedimenti definiti in materia di esecuzioni mobiliari (-35,7%), esecuzioni immobiliari (-25,2%) e fallimenti (24,4%), «che hanno durate molto elevate: 1928 giorni e 2766 giorni rispettivamente».
Ricapitolando: il Covid ha frenato moltissimo la richiesta di giustizia, con un calo di circa un terzo dei procedimenti nuovi.
È parimenti calata la capacità della magistratura di definire i procedimenti. Così il numero delle pendenze è sostanzialmente inalterato: in corte d' appello, 229.150 pendenze nel 2020 contro 241.673 nel 2019; in tribunale, 1.499.292 nel 2020 contro 1.502.290 nel 2019. Ci si attende però un fenomeno di rimbalzo. A breve arriveranno nei tribunali civili tutte le cause che non sono state presentate nell' anno del Covid.
E in più ci sarà l' enorme prevedibile contenzioso dovuto al collasso di tante attività economiche. Si capisce più che bene, in definitiva, il senso dell' appello ansioso della ministra, qualche giorno fa. A partiti che non cessano di litigare, Cartabia ha intimato: «Chi si sottrae al cambiamento, si dovrà assumere la responsabilità di mancare un' occasione così decisiva per tutti».
E in effetti si profilano riforme che scuoteranno abitudini consolidate, a cominciare da un ricorso massiccio alla conciliazione e al giudice di pace. Riforme che piacciono poco agli avvocati . Ma la giustizia civile, alla vigilia di una stagione di riforme, rischia addirittura di essere sommersa.
E però gli accordi con l' Unione europea sono stringenti: o si dimostra il recupero di rapidità entro cinque anni, addirittura del 40%, oppure la Commissione ci chiederà indietro tutti i 191 miliardi del Recovery.