1 - LO SCONFORTO DELLA PROPRIETÀ "LA PARTITA È TUTTA POLITICA"
Paolo Possamai per “la Stampa”
La trattativa è appesa a un filo, estremamente esile. Da casa Benetton nessuna illusione sull'esito del confronto con il governo sulla partita Autostrade per l'Italia (Aspi). Nessuna illusione, perché la partita viene intesa «tutta politica». E la netta impressione è che, in presenza di una impuntatura da parte dell'ala dura in seno al governo del Movimento 5 Stelle per la revoca della concessione, il premier Giuseppe Conte darebbe il placet pur di non rischiare di finire gambe all'aria. In vista di tale finale della partita, Atlantia (azionista di Aspi con l'88%) affila le armi per chiedere giustizia in sede Ue contro lo Stato italiano.
Uno scontro frontale tra il governo di Roma e il gotha dei fondi di investimento mondiali, azionisti di Atlantia assieme ai Benetton e risolutamente determinati a ottenere l'indennizzo di 23 miliardi previsto in caso di revoca della concessione. Non i 7 miliardi indicati all'articolo 35 del decreto Milleproroghe, ma i 23 contemplati nella convenzione tra Stato italiano e Aspi. Gianni Mion, presidente di Edizione, cassaforte dei Benetton, sostiene che da parte di Aspi e Atlantia è arrivata al governo «una proposta seria».
«Non sono ottimista» aggiunge lo storico manager della famiglia trevigiana. Eufemismi. Chi ha lavorato al dossier sostiene che i parametri finanziari sono stati tirati al massimo e che di più non era e non è possibile mettere sul piatto in termini di indennizzi per la caduta del ponte Morandi, per nuovi investimenti, per la riduzione delle tariffe al casello. Il punto chiave sta nella tesi di fondo marchiata M5S: i Benetton devono uscire da Aspi.
La semplificazione consiste nella equivalenza Atlantia = Benetton, mentre i secondi possiedono appena il 30% della holding, leader a livello internazionale nella gestione di autostrade e aeroporti. Il resto appartiene al «mercato», ossia a investitori come Lazard, Hsbc e Fondazione Crt, fondi come Gic, Tci, Fidelity, Black Rock, Generali. I capitali di Atlantia sono al 23% con bandiera Usa, al 20% inglese.
Pacchetto di mischia pesante per la partita che andrà in scena a Bruxelles, dove peraltro il fondo sovrano cinese "Silk road" e la compagnia tedesca Allianz - entrambi azionisti diretti di Aspi - avevano inviato formale lettera di protesta un anno fa. Atlantia ha già da tempo dichiarato la disponibilità a scendere in minoranza in Aspi, consentendo l'ingresso al 51% di un azionista di controllo gradito al governo italiano (Cdp). Ne deriverebbe che Atlantia scenderebbe al 37% e gli altri due soci Silk Road e Allianz sommerebbero il 12% rimanente.
La diluizione avverrebbe con aumento di capitale, senza alcun incasso da parte di Atlantia, per garantire un rafforzamento patrimoniale sempre più urgente per Aspi. Ma il passo indietro potrebbe non bastare a chi nel governo vuole che i Benetton siano messi alla porta e magari la concessione affidata all'Anas (che solo poche stagioni fa era tra gli emblemi dell'inefficienza cronica dello Stato).
E allora la revoca resterebbe l'unica via, con annesso scontro in sede comunitaria. Atlantia e Aspi, dice ancora Gianni Mion, «hanno fatto un grande sforzo, anche professionale», per cui ora «non resta che aspettare». E conclude così: «Le due aziende hanno fatto una proposta seria. Hanno fatto ciò che dovevano e potevano fare. Anche se io sono pessimista. Ora ognuno deve fare ciò che ritiene giusto, non è tempo di spendere parole. So che è stato fatto un lavoro molto vasto e spero che venga letto e meditato senza pregiudiziali».
2 - PER LA SOCIETÀ NON CI SONO PIÙ MARGINI: «ACCOLTE TUTTE LE RICHIESTE DEI MINISTERI»
Andrea Bassi per “il Messaggero”
Autostrade e Atlantia attendono una risposta alla proposta inviata al governo per chiudere il contenzioso sul rinnovo della concessione sorto dopo il crollo del Ponte Morandi. Ma, come ha spiegato Gianni Mion, il presidente di Edizione, la holding della famiglia Benetton che controlla il gruppo autostradale, c'è ormai la convinzione che il governo voglia andare alla revoca. Quella di Autostrade, ha detto Mion, «è una proposta seria» ma, ha aggiunto, «non sono ottimista».
Eppure, di fatto, il gruppo ha accettato in toto le proposte fatte direttamente dal governo. Autostrade lo ha scritto nero su bianco nella lettera inviata a Palazzo Chigi, al Tesoro e al ministero delle infrastrutture. L'ultimo incontro tra Autostrade e il governo c'è stato il 9 luglio. In quell'occasione, spiega la società, sono stati rappresentati dal governo «i contenuti di un accordo per la positiva conclusione condivisa della procedura di contestazione».
Per il governo, insomma, i 3,4 miliardi di risarcimento, l'abbassamento delle tariffe e l'accettazione del nuovo metodo di calcolo delle tariffe, avrebbero messo fine al contenzioso. Proprio per chiudere la controversia, e nonostante le incertezze su diversi aspetti dell'accordo, Autostrade ha deciso di accettare totalmente l'impostazione del governo «a fronte della positiva conclusione concordata del procedimento in oggetto». Il patto insomma era chiaro.
Se la società avesse firmato la resa incondizionata, il procedimento di revoca sarebbe venuto meno. Anche perché il gruppo controllato da Benetton, ritiene ormai di aver cambiato pelle rispetto a quello di un anno e mezzo fa. È stato oggetto di una profonda trasformazione, che ha portato a cambiare il 30% del management e a introdurre strumenti più stringenti di controllo.
PAOLA DE MICHELI GIUSEPPE CONTE
I MECCANISMI
Eppure, come teme Mion, tutto questo potrebbe non bastare a evitare la revoca. I grillini hanno dato una sorta di ultimatum a Palazzo Chigi su Autostrade: o i Benetton escono dal capitale completamente, oppure c'è la revoca. Nella lettera inviata, Aspi si è detta disponibile a proporre alla controllante Atlantia un aumento di capitale per favorire l'ingresso di nuovi soci. E la stessa Atlantia, sin dal 6 febbraio scorso, si è resa disponibile all'ingresso di nuovi soci pubblici e privati.
Ma Atlantia non ha nessuna intenzione di uscire completamente dal capitale di Autostrade. La discesa massima possibile, al momento, sarebbe dall'attuale 88% al 37%, in modo che congiuntamente con gli altri due soci di minoranza, i cinesi di Silk Road e Appia Investments, i vecchi soci siano comunque sotto il 50% della società. A entrare dovrebbe essere una cordata di nuovi soci pubblici e privati: la Cdp, alcune Casse di previdenza, Poste Vita.
CDP – CASSA DEPOSITI E PRESTITI
L'investimento, una volta definita la concessione, è comunque interessante. L'ingresso avverrebbe con un aumento di capitale, in modo da permettere la diluizione di Atlantia e degli altri soci senza passaggi di denaro. Ma ci sarebbe anche un'altra ipotesi che starebbe prendendo piede nelle ultime ore.
Lo Stato potrebbe entrare con una quota minoritaria, in modo da contenere di molto l'esborso per l'ingresso nella società, ma avere poteri di governance o aderire a patti para sociali che consentano allo Stato di dettare la linea nella società. In questo caso l'ingresso potrebbe essere anche direttamente del Tesoro. Cdp del resto, prima di intervenire ha bisogno della certezza che l'investimento in Autotrade, con il nuovo piano tariffario, non solo sia sostenibile, ma che sia anche profittevole, considerando che i soldi investiti nel gruppo sarebbero quelli dei risparmiatori postali.