Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”
«Sono stato fermo per 35 giorni. Ho avuto la febbre a 40. Mi dava fastidio ogni cosa, anche il semplice contatto con le lenzuola. Ora siamo fermi, ristoranti chiusi, personale in cassa integrazione. Ma sono convinto che tornerà tutto come prima». Giuseppe Cipriani, 55 anni, rappresenta la terza generazione della famiglia e oggi ne è il manager principale. Suo padre Arrigo, da Venezia, la vede nera: «Difficile in queste condizioni riaprire l' Harry' s Bar».
Lui è più ottimista. Tutti e due sono avvelenati con il governo italiano. Abbiamo raggiunto Giuseppe per telefono, mentre è in Uruguay per affari: «Abbiamo avuto la licenza per gestire un casinò».
Ci è passato anche lei, si è ammalato di Covid-19...
«Eh sì. Mi sono ammalato ai primi di marzo. Mi è venuta subito la febbre alta, temperatura di 40 gradi. Così da un giorno all' altro».
Ha pensato subito al coronavirus?
«Sì ho avvertito subito la sensazione di aver preso qualcosa di particolare. Vengono meno le forze, senti che nel corpo sta succedendo qualcosa di strano. Ti dà fastidio tutto. Non so, il contatto con l' acqua, con le lenzuola. Dopo una quindicina di giorni ho perso l' olfatto e il gusto».
Come si è curato?
«Mi sono curato da solo»
Da solo? Neanche una telefonata al medico?
«No, ho capito che avevo il virus e ho pensato: calma, me ne sto a casa tranquillo. Sono stato a letto per una quindicina di giorni. Ho preso il Tylenol (analgesico tipo tachipirina ndr) per far abbassare la febbre e poi lo Zithromax (un antibiotico) e infine la idrossiclorochina».
La idrossiclorochina? Ma i medici, soprattutto qui in America, non sono sicuri che sia efficace contro il virus e anzi temono possa avere pesanti effetti collaterali..
«È molto usata in Africa contro la malaria. Ho pensato che al massimo non mi avrebbe fatto niente».
Comunque i medici la sconsigliano, è doveroso precisarlo. Ha mai temuto di finire in ospedale?
«Ho cercato di non pensarci, sono uno abituato a pensare positivo. Ho smesso di fumare da vent' anni. Ne ho 55, mi sento in forma. Ho pensato che potevo superare la malattia. Sono rimasto in casa da solo, isolandomi dai miei due figli e dalla mia compagna che era in Uruguay».
Adesso ha ripreso in pieno il lavoro: come ha trovato New York e il Paese?
«Chiaramente una situazione difficile. A New York noi abbiamo quattro ristoranti, due alberghi, sei sale eventi. Tutto chiuso, tranne un albergo che abbiamo sempre tenuto aperto».
E i dipendenti?
«Negli Stati Uniti ne abbiamo 2.500 sui 4mila totali nel mondo. Speriamo di poterli tenere tutti. I dipendenti sono il nostro vero tesoro...»
Ma ora come campano?
«In totale ne abbiamo al lavoro 300-400. Gli altri sono in cassa integrazione. Negli Stati Uniti tutti hanno già ricevuto i sussidi del governo. Anche in Gran Bretagna il meccanismo funziona. Noi abbiamo anticipato il reddito di sostegno e il governo ci ha puntualmente rimborsato. In Spagna ci hanno addirittura approvato un altro progetto a Ibiza...»
E in Italia?
«Niente. Zero. Gli assegni della cassa integrazione non sono arrivati. Tutto il mondo va bene, in Italia buio pesto».
Suo padre Arrigo dice la stessa cosa a Venezia. Lo abbiamo sentito al telefono ed è furibondo con il governo...
«Abbiamo una classe di incompetenti, gente che fa molte promesse, ma non ne mantiene neanche una. Basta vedere come stanno reagendo gli altri. Gli Usa, per esempio, non bene, ma benissimo».
Come vede la nostra vita da qui a qualche mese?
«Sono convinto che tutto tornerà come prima. Dovremo cambiare qualche abitudine, ma possiamo ripartire. Domenica scorsa abbiamo riaperto a Hong Kong: distanza tra i tavolini di un metro e mezzo. Non i quattro metri imposti in Italia».
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