Estratto dell’articolo di Valeria Braghieri per “Il Giornale”
[…] L’Ikea, specie il sabato e la domenica, è il luogo dove si montano le case e si smontano le coppie. Già nel parcheggio inconfondibilmente segnalato dalle scritte gialle e blu, si ha la dimostrazione plastica dell’inconciliabilità di genere alla quale, chissà perché, né gli uomini né le donne (soprattutto le donne in questo caso), sono disposti ad arrendersi.
Sono ormai anni che trascinare il proprio «uomo» in una filiale della multinazionale svedese è un punto d’onore e d’orgoglio per mogli, compagne, fidanzate. Mentre i maschi accolgono l’estremo sacrificio pensando di intascare una cambiale che in realtà non incasseranno mai. E non rendendosi conto del fatto che una volta ottenuto lo scalpo della dignità maschile, per le donne, un uomo all’Ikea avrà lo stesso senso di uno spaventapasseri su un terreno incolto […] nessun uomo che è qui vuole davvero essere qui e le donne se ne accorgono.
Sempre. Prima inizieranno a sentire il ronzio della loro inquietudine, poi basterà spennellarli con lo sguardo per capire che davanti ai cuscini Sandtrav (euro 13) sono incontrovertibilmente sole. […] I bambini sono sempre e comunque un peggiorativo della già complicata esperienza perché mostrano un estenuante (e a tratti persino ingiustificato) entusiasmo per ogni singolo ambiente riprodotto dilatando tempi, impazienza e nervosismi. […] il pranzo, che sia consumato al bistro o arrampicati sugli sgabelli davanti alle casse addentando hot dog sepolti nella senape, è il momento della verità. […]
È il pasto della rivendicazione, tutto ciò che hanno trattenuto fino quel momento esplode in faccia alla consorte alla quale, in qualche caso, manco lasciano il posto a sedere. Tutto il giorno che ritengono di subire e domani sarà di nuovo lunedì e chi gliela restituisce questa domenica di schifo? […] Trangugiate le polpette e le parole infrequentabili, si ricomincia. Ma il pranzo è stato in realtà il confine, il limite massimo dal quale non si torna indietro. Quindi nella prossima camera da letto lui non avrà più problemi a non fare il suo dovere. Si siederà proprio sul bordo come uno che sta scomodo lì e in tutta la relazione, tirerà fuori il cellulare e ci si tufferà dentro come fosse una macchina del tempo.
Da lì, sostanzialmente non riemergerà più per davvero fino a quando non potrà riprendere contatto con qualcosa di altrettanto famigliare: l’auto nel parcheggio. Nella seconda metà del grande magazzino la finta conciliabilità semestrale che li ha portati qui insieme, oggi, è evaporata del tutto e le inconciliabilità sono tornate al loro posto: cioè in bella evidenza. È caduta la maschera e ora nel carrello di metallo ingovernabile hanno il rancore, il mobile da assemblare per il bagno, la coperta che lui non voleva, la cassetta degli attrezzi che non voleva lei.
E hanno facce che si leggono e s’imparano in una volta sola, con un semplice sguardo: tutta la giornata scritta lì, sui lineamenti inaspriti. Ma è paradossalmente il momento in cui sono più vicini, perché entrambi, ma finalmente ognuno per conto suo, nell’abitacolo afono della macchina riconquistata pensano che l’amore è una malattia della dignità.
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