Da corriere.it
«Un fatto enorme e gravissimo che ricorda la vicenda di mio fratello Stefano». Così Ilaria Cucchi commenta l’indagine della Procura di Piacenza che coinvolge alcuni carabinieri accusati, tra l’altro, di traffico di droga, estorsioni e tortura. «Bisogna andare fino in fondo - ha aggiunto Cucchi - non si facciano sconti a nessuno come hanno dimostrato magistrati coraggiosi nell’indagine sulla morte di Stefano- ricorda la sorella del geometra morto a una settimana dall’arresto per le conseguenze delle percosse subite dai carabinieri in caserma - Basta parlare di singole mele marce, i casi stanno diventando troppi.
Il problema è nel sistema: mi vengono in mente i tanti carabinieri del nostro processo che vengono a testimoniare contro i loro superiori e mi chiedo con quale spirito lo facciano quando poi spuntano comunicati dell’Arma subito dopo la testimonianza come nel caso del loro collega Casamassima», conclude Ilaria Cucchi, che per anni si è battuta per stabilire la verità sulla morte del fratello.
Come si è battuta la mamma di Federico Aldrovandi, Patrizia Moretti: anche lei ha dimostrato che il suo ragazzo, all'epoca diciottenne, è morto nel 2005 durante un controllo di polizia. Nella condanna dei 4 agenti, del 2012, si legge che fu esercitata un'azione «sproporzionatamente violenta e repressiva».
La morte fu causata dalla pressione esercitata dai poliziotti che nel tentativo di immobilizzare Federico, durante un controllo, gli erano montati sulla schiena. Inoltre, i giudici stigmatizzano il tentativo di manipolare le testimonianze e sminuire le colpe degli imputati. Oggi Moretti scrive su Twitter: «Quanti cesti di mele marce abbiamo accumulato?».
UN CARABINIERE BACIA LA MANO A ILARIA CUCCHI
Il processo
A novembre scorso, al termine di due anni di udienze e otto ore di camera di consiglio, è arrivato invece il verdetto di primo grado contro gli imputati nel caso Cucchi, autori dell’arresto e responsabili delle percosse inflitte al trentunenne spacciatore di marijuana e cocaina, fermato la sera del 15 ottobre 2009. Da lì cominciò il calvario del detenuto, picchiato in caserma (così ha stabilito la sentenza), poi portato in tribunale, trasferito a Regina Coeli, due volte al pronto soccorso e infine ricoverato all’ospedale Pertini dove è morto a una settimana dall’arresto, senza che i familiari riuscissero a sapere nulla delle sue condizioni.
I carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo sono stati condannati a 12 anni di carcere. Poi è stato aperto il cosiddetto «Cucchi ter», per ricostruire le responsabilità di chi cercò di coprire il pestaggio del geometra. Otto i militari sotto accusa. Il ministero di Giustizia si è costituito parte civile.