Estratto dell'articolo di V.L. per “la Repubblica - Edizione Roma”
Under 30, per lo più donne, zero competenze. A tracciare l'identikit del food influencer a caccia di affari, quello che bussa ai locali chiedendo soldi in cambio di pubblicità - spesso e volentieri occulta - è Valerio Massimo Visintin, uno dei pesi massimi della critica gastronomica. […]
Qual è il locale tipo al quale puntano questi content creator?
«Ristoranti di fascia medio-bassa. Il fenomeno riguarda principalmente le grandi città, come Roma e Milano».
Come fanno a definire buoni dei piatti senza avere la minima formazione nel settore gastronomico?
«Partono dal presupposto che tutti possano scrivere e parlare di cibo. Siamo di fronte a una sorta di "tana libera tutti". Questi giovani sfruttano la scia della potenza dei social. Social che tra l'altro non riescono a setacciare tra i contenuti caricati sulle rispettive piattaforme e a scovare situazioni di potenziale pubblicità occulta».
[…] I ristoratori che accettano queste prestazioni sono colpevoli?
«Sono conniventi. In un capitolo del mio ultimo libro ("Dietro le stelle. Il lato oscuro della ristorazione italiana", edito da Mondadori, ndr) parlo proprio di questo: di pubblicità occulta. Questi food influencer chiedono un pasto o due pasti gratis, in qualche caso anche del denaro.
Alcuni ristoratori accettano […] per non restare con i tavoli vuoti».
Quindi è questione di visibilità.
«Sì, lo fanno per visibilità sperando di portare clienti. Ma, visto che parliamo di pubblicità occulta, sono complici. È sempre più difficile distinguere tra chi fa pubblicità e chi informa. Dovrebbe essere rifondata proprio la comunicazione dell'intero settore del food, anche in relazione alle attività dei giornalisti».
Cosa succederà ora che il giro delle "marchette criminali", come le ha definite lo youtuber Franchino er Criminale, non è più segreto? Si aspetta qualche cambiamento?
«Lode a Franchino per averne parlato. Ma purtroppo non cambierà niente. Questi profili, tanto per cominciare, dovrebbero scrivere "pubblicità" e non #adv, che sta per advertising, perché molti non sanno nemmeno che significa. E ormai c'è chi ha fiducia nella persona che pubblica quei contenuti».
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