BRUXELLES ATTENTATI TERRORISTI BIG
Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
Dopo la strage del Bataclan, il 13 novembre 2015, il jihadista francese Fabien Clain si è fatto vivo dal Califfato per annunciare nuova morte. «Questo attacco è l’inizio della tempesta». Sapeva quello che diceva.
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Raro che i militanti di peso parlino a vanvera. E Clain, che appartiene alla lotta armata fin dagli anni Novanta del secolo scorso, era ben informato essendosi unito all’Isis. Con lui il fratello Jean Michel. Possibile che i due collaborino alla struttura delle operazioni esterne dello Stato Islamico, quella che dirige o ispira gli attacchi in Occidente.
Al vertice una catena di comando composta da una decina di «ufficiali» e ideologi, mediorientali ma anche europei, per rendere più facile reclutamento e gestione. A gettare le basi Abu Ali al Anbari, che ha modellato l’organizzazione seguendo — solo in parte — quella di un servizio segreto chiamato ad operare in profondità.
Poi un tunisino, quindi il francese Salim Benghalem, sospettato di aver suggerito la prima vera azione Isis in Europa, quella contro il museo ebraico di Bruxelles, nel maggio 2014. O il franco-tunisino Boubaker al Hakim, uno della vecchia guardia, che ha consigliato di lasciar perdere i simboli e concentrarsi sulla nozione di « tawahhush », atti barbari da compiere colpendo alla cieca per seminare la paura.
E lo ha detto pensando alla Francia. Ancora: un anglo-pachistano responsabile della brigata al Awlaki, studiata appositamente per intervenire in Gran Bretagna. E poi quelli che non sappiamo. Alcuni referenti sono stati uccisi — gli americani sostengono almeno sei — vuoti riempiti rapidamente con i rimpiazzi di una campagna di lungo termine, iniziata secondo l’intelligence statunitense nel 2013, ben prima del Califfato, affidandosi a singoli individui. Degli esploratori che hanno aperto un sentiero, testando misure di sicurezza ed esplosivi, possibilità di acquisire materiale civile per le bombe.
È interessante un aspetto: l’Isis a Bagdad come a Parigi è ricorso alla stessa tattica. Ha infiltrato cellule con compiti futuri, ha spedito uomini scelti per mettere insieme dei team e fondare le basi. Sempre in modo fluido e agile, il Califfato si è affidato agli operativi, i facilitatori. Il secondo livello. Alcuni bravi nel falsificare i documenti, altri abili nel confezionare ordigni ma anche a coordinare le mosse.
Abdelamid Abaaoud era uno di loro, e lo era anche Samir Bouzid, ucciso pochi giorni fa in Belgio. Un profilo nel quale troviamo i latitanti Najim Laachraoui e Mohamed Abrini.
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Del primo sono state recuperate le impronte sui resti di una fascia da kamikaze scoperta in un covo, inoltre era in contatto con gli assassini di Parigi. È un veterano della Siria. Abrini, detto «Brioche» per il suo vecchio lavoro in una panetteria, è un criminale comune passato all’islamismo, probabilmente seguendo le orme del fratello Soleimane, morto al fronte. Entrambi sono nella lista dei sospettati.
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I «capitani» dell’Isis, una volta raggiunta la zona d’operazione, hanno iniziato la «pesca» puntando su complici preparati. Sono un centinaio coloro che sono rientrati dalle terre del Califfo. Oppure hanno ingaggiato aspiranti combattenti che avevano dalla loro due vantaggi: passaporto europeo e amicizie di quartiere che sono diventate in qualche caso la logistica.
Mix perfetto di realtà locale che si innesta su quella globale. E purtroppo funziona perché confonde le idee alla polizia, la costringe ad allungare le linee. Ed è questo il terzo livello, infinito in quanto può trovare adepti nei quartieri difficili, nelle prigioni, nei campi profughi usati come schermo. Da qui la complessità di comprendere quanto sia ampio un network.
C’è sempre il timore dei «fantasmi», personaggi non noti, nuclei segreti costruiti in parallelo.
attentato alla metro di maelbeek bruxelles 3
Se guardate con attenzione, dopo ogni retata è rimasto sempre fuori qualcuno che ha ereditato il testimone garantendo così continuità. Il meccanismo permette al Califfo di avere la direzione strategica mentre concede autonomia agli uomini in Europa su quando attivare il detonatore. Lo determinano il momento, l’opportunità, la necessità di rilanciare il messaggio.
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È un modus operandi facile, in alcuni casi agevolato dal mimetismo e dalle comunicazioni protette. L’Isis c’è arrivato per fasi. La strage al museo ebraico è stata condotta da uno solo, poi tentativi sempre affidati al lupo solitario o a pochi, infine la grande offensiva coordinata in grado di superare lo scudo anche quando c’era l’allarme. Killer così sicuri di loro stessi da entrare insieme nell’aeroporto di Bruxelles per scatenare la tempesta.