Valentina Errante per “il Messaggero”
«Non fu uno schiaffo, ma un pestaggio violento e repentino, degno di teppisti da stadio, contro una persona fragile e sottopeso. Di questo stiamo parlando, non di altro». Comincia così la lunga e commossa requisitoria del pm Giovanni Musarò nel processo per la morte di Stefano Cucchi, cinque carabinieri sul banco degli imputati. Sono ritenuti responsabili del pestaggio e dei primi atti del «depistaggio», come lo definisce Musarò, cominciato con il verbale di arresto.
Nell'aula bunker di Rebibbia, c'è anche Michele Prestipino, il procuratore reggente, siede in silenzio a fianco del suo sostituto. Una presenza simbolica. Le accuse sono pesantissime per Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco, omicidio preterintenzionale.
Proprio Tedesco che, nel corso del procedimento ha accusato i due colleghi sostenendo di avere assistito al pestaggio, risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto e calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all'epoca dei fatti a capo della stazione Appia. Vincenzo Nicolardi, invece, risponde solo di calunnia verso gli agenti di polizia penitenziaria, imputati e assolti per avere picchiato Stefano in quello che Musarò definisce un processo kafkiano.
IL PESTAGGIO
Musarò ricostruisce ancora una volta le ore successive all'arresto di Cucchi. Quella notte del 16 ottobre 2009. La perquisizione, con esito negativo a casa dei genitori di Stefano e il passaggio cruciale del fotosegnalamento, rifiutato dal giovane geometra nella caserma della compagnia Casilina. «Ci furono due battibecchi con D'Alessandro. Dopo un calcio e uno spintone Cucchi cade e sbatte a terra il sedere e la nuca, prende un calcio violentissimo in faccia o alla nuca che gli provoca una frattura alle vertebre».
Per Musarò, il depistaggio comincia subito. La testimonianza di Tedesco, l'imputato che ha raccontato cosa fosse realmente accaduto «L'unico che ci ha messo la faccia», dice il pm, ha confermato e circostanziato le accuse.. E poi altri testimoni chiave, come Luigi Lainà, che incontrò Cucchi nel centro clinico di Regina Coeli.
«Si sono divertiti a picchiarlo», ha detto Musarò usando le parole del detenuto. È proprio a Lainà che Stefano ha lasciato questa «sorta di testamento, dicendogli - ha proseguito il pm - che a picchiarlo sono stati due carabinieri in borghese della prima stazione da cui è passato. Cucchi ha parlato con la voce di Lainà». E aggiungendo: «Quello in divisa è stato la mia salvezza». Sarebbe stato proprio Tedesco - secondo le sue dichiarazioni - a fermare i colleghi D'Alessandro e Di Bernardo mentre picchiavano Stefano».
STEFANO CUCCHI E LA SORELLA ILARIA
«Stefano Cucchi fu portato in carcere perché il maresciallo Mandolini scrisse nel verbale di arresto che era un senza fissa dimora ma lui in realtà era residente dai genitori, senza quella dicitura forse sarebbe finito ai domiciliari e oggi non saremmo qui. Questo giochetto è costato la vita di Cucchi», dice Musarò.
IL DEPISTAGGIO
«È il primo atto di depistaggio di questa vicenda, perché i nomi di Tedesco, Di Bernardo e D'Alessandro non compaiono nel documento». Da allora si sono moltiplicati solo dubbi e incongruenze, emersi da verbali e referti. Il depistaggio va avanti fino al 2015, quando l'inchiesta viene riaperta, un altro processo a carico di ufficiali e graduati stabilirà se i militari abbiano continuato per tutti questi anni a nascondere e falsificare prove. In attesa della sentenza prevista a novembre, Ilaria Cucchi non ha contenuto la sua commozione: «Comunque vada, lo Stato è con noi. Mi piacerebbe tanto che Stefano potesse aver sentito le parole del pm Musarò. Penso che oggi sarebbe felice».