Massimo Gaggi per www.corriere.it
Alba del primo novembre. Elon Musk 1 gioisce per il lancio, pienamente riuscito, di un missile Falcon Heavy di SpaceX, il più potente missile oggi operativo al mondo, impegnato in una missione militare segreta. Musk 2 pubblica le immagini di una festa di Halloween in costume alla quale ha partecipato con la madre, svoltasi (ma quando?) nell’East Villege di Manhattan.
Musk 3, impegnato a rivoluzionare, a San Francisco, il quartier generale di Twitter del quale ha appena preso il controllo, scopre, in primo luogo, che comportarsi da assolutista del free speech (parole sue) senza che la rete sociale divenga una cloaca di calunnie, falsità e linguaggi violenti, è più facile a dirsi che a farsi. E ora deve anche prendere atto che il suo progetto di trasformare – parzialmente o totalmente – Twitter in servizio a pagamento è destinato a trovare opposizioni molto dure. Anche di gente che ha potere contrattuale nei confronti della piattaforma.
Nei giorni scorsi Washington Post, New York Times e siti come TheVerge avevano scritto (come il Corriere ha riferito ieri) che il nuovo proprietario intende rendere a pagamento (si è parlato di 15 o 20 dollari al mese) il blue tick: il sistema di certificazione che garantisce l’autenticità di un account su Twitter. Musk non ha confermato né smentito, anche se dagli incontri che ha avuto nelle settimane scorse con gli investitori era trapelata la sua volontà di introdurre una quota di subscription per non far dipendere la società totalmente dalle entrate pubblicitarie.
Il primo a rispondere con furia alle voci è stato lo scrittore Stephen King: «Venti dollari al mese per tenere il mio blue check?» ha scritto, ovviamente in un tweet, ai suoi 6,9 milioni di follower. «Vadano a farsi fottere: sono loro che dovrebbero pagare me. Se lo fanno davvero me ne vado».
La sortita deve aver preoccupato Musk che, dismessi i panni di Iron Man e indossati quelli di un negoziante che tratta sul prezzo, ha subito risposto a King: «Ma io devo pur pagare le bollette e gli stipendi. Che ne diresti di 8 dollari?». A parte gli aspetti curiosi della vicenda, è la prima volta che Musk esplicita e quantifica il suo piano, parlando in prima persona. E che l’idea di mettere Twitter a pagamento sia molto concreta e sia stata attentamente soppesata lo conferma un altro tweet nel quale Musk promette che prima di introdurre il nuovo sistema spiegherà in modo dettagliato le basi logiche delle sue decisioni.
Dovrà essere molto convincente perché Stephen King non è, di certo, l’unico a essersi ribellato: Musk rischia di perdere le star che producono traffico – e quindi valore – per Twitter. Lo spiega in modo molto chiaro e pacato il celebre sondaggista di FiveThirtyEight, Nate Silver: «Io, coi miei 3,5 milioni di follower e un uso intenso di Twitter, sono l’obiettivo perfetto (per l’introduzione di un pagamento, ndr). Certamente posso permettermi di versare 20 dollari al mese e non ce l’ho con Musk, ma la mia reazione a tutto questo è che io genero tonnellate di contenuti di valore e gratuiti per Twitter». Così, passando dai toni compassati a un linguaggio più colorito, anche Silver manda a quel paese Elon.
Che, in serata torna alla carica con un anticipo dei ragionamenti logici promessi: dice che ci saranno tariffe differenziate per Paesi, tenendo conto delle differenze di potere d’acquisito, afferma che il paywall non verrà applicato a chi pubblicherà «dimostrando di voler lavorare con noi» e, soprattutto, ipotizza un sistema di redistribuzione delle risorse agli autori (la quota mensile «darà a Twitter le risorse per compensare i creatori di contenuti»). I suoi fan hanno subito condiviso sostenendo che questo cambierà radicalmente il sistema dell’informazione rendendolo più credibile e trasparente.