Michela Allegri per www.ilmessaggero.it
Avevano messo in piedi un ufficio parallelo che, su commissione e illegalmente, gestiva le pratiche di condono edilizio del Comune di Roma. O meglio: le manipolava con «un ricamino», per conto di clienti disposti ad allungare mazzette e che, in cambio, avrebbero risparmiato montagne di denaro. E adesso, con accuse che vanno dalla corruzione al falso, fino alla truffa, sei persone sono finite ai domiciliari.
Uno è un funzionario del Campidoglio, Marco Ursini, impiegato di vecchia data dell’Ufficio condoni, poi distaccato in un’altra sezione, ma che, grazie all’esperienza acquisita, ha continuato ad occuparsi delle pratiche parallele. Era lui a organizzare l’imbroglio, secondo la procura.
Era uno degli ideatori di un «sistema di corruzione capillare» e consolidato - sottolinea invece il gip - che in questi anni è finito per costare caro alle casse comunali, visto che molte procedure sono state bloccate, o rallentate, con conseguente mancato incasso di quanto dovuto. L’attuale direttore dell’Ufficio, sentito dagli investigatori, ha infatti parlato di una situazione «fuori controllo» e di mancati introiti per più di 56 milioni di euro.
L’INSABBIAMENTO
Quando aveva scoperto delle verifiche dei carabinieri in ufficio, Ursini aveva cercato di insabbiare le prove a suo carico, sottolinea il giudice: aveva spostato fascicoli in massa e aveva anche cercato di cancellare l’hard disk del suo computer. Ai domiciliari sono finiti anche i dipendenti della società Risorse per Roma - appaltata dal Comune per la gestione dei condoni -, Daniela Lazzari, Ottavio Santilli, Sandro Alia, Marco Martone e pure il geometra Fabrizio Donatiello. Ma è solo l’inizio: gli indagati sono in tutto 84.
Un numero che comprende anche altri dipendenti e funzionari capitolini - 24 del Comune e 19 di Risorse per Roma - e, soprattutto, alcuni dei clienti che avrebbero beneficiato del servizio di favore. Ormai, dicono gli indagati intercettati, il sistema funzionava come «un’azienda» consolidata. Gli accertamenti, condotti dai carabinieri della Compagnia Roma Eur e coordinati dalla pm Nadia Plastina, sono iniziati nel 2016.
E hanno preso impulso dalla denuncia di un carabiniere in congedo, il generale Antonio Apostolo, che era stato assunto a Risorse per Roma come supervisore amministrativo sulle istruttorie di condono. «Sono orgogliosa di lui - ha commentato il sindaco Virginia Raggi - oltre alle mele marce esiste un mondo di lavoratori dalla schiena dritta».
LE INDAGINI
Appostamenti, intercettazioni, cimici piazzate nelle auto e negli uffici degli indagati hanno permesso agli inquirenti di ricostruire uno spaccato allarmante. Un sistema che, per anni, ha contribuito a scavare una voragine nelle casse comunali e ha ingolfato la burocrazia, già lentissima, del Campidoglio. Molte pratiche regolari avrebbero infatti subìto rallentamenti per permettere a quelle - illegali - dei “clienti” di viaggiare su una corsia preferenziale.
Tra i beneficiari c’erano conoscenti degli indagati, ma anche vip della Capitale, disposti a pagare migliaia di euro per ottenere un condono illegale: dagli imprenditori Antonio e Daniele Pulcini al costruttore Fabrizio Amore - già coinvolto in un’inchiesta collegata a quella sul Mondo di Mezzo -, che si sarebbe occupato degli affari delle cliniche romane della famiglia Garofalo, fino a ristoratori rinomati, come il proprietario di “Checco dello Scapicollo”, in zona Eur, frequentatissimo da attori e calciatori. Ieri i carabinieri hanno anche sequestrato 455mila euro sul conto di alcuni indagati.
Per aggiustare le procedure con perizie falsificate, era necessario un «ricamino», dice Ursini intercettato. Lo scopo era indirizzare l’iter burocratico verso un risultato favorevole, oppure sanare violazioni palesi e regolarizzare immobili abusivi. Nell’ordinanza il gip Claudio Carini usa parole pesanti: parla di un’attività «sistematica» e di fatti «allarmanti per la consolidata abitualità che esprime la pervasività che li caratterizza». Atteggiamenti che, per il giudice, «sono sintomatici della spiccata propensione e disinvoltura, della callidità e navigata esperienza di tutti i protagonisti nell’aggiustare pratiche e procedure pubbliche».
Le intercettazioni sono tantissime. Una è parecchio eloquente: «Abbiamo risolto brillantemente con un ricamino - dice Ursini - ci siamo inventati una lettera». E ancora: «Bisogna essere, come si dice dal punto di vista del procuratore di Roma, esperti del male per concepire una cosa di questo tipo, una mente perversa». Parole alle quali la compagna Cristiana Berardi, pure lei indagata, replica: «Ah quindi bravissimo, è da galera questa cosa». La Berardi, secondo la procura, è un anello importante della catena: è anche lei una dipendente di Roma Capitale nella sezione Condoni, e sarebbe per il gruppo una «sponda all’interno dell’Ufficio».