Estratto dell’articolo di Domenico Quirico per “la Stampa”
Una lunga fila disciplinata, che marcia svelta, scandita dagli stracci bianchi a cui affidano la loro vita […] Tre ore, quanto ha concesso Israele, non sono molte tre ore per fuggire. Tre ore ha strappato il potente Biden all'implacabile Netanyahu, con le sue inutili portaerei di latta e i sottomarini nucleari.
[…] A guardare la fuga da Gaza a piedi verso la fragile sicurezza della sacca di disperati al confine con l'Egitto, dove una umanità brulica, fermenta, hai l'impressione di leggere un libro dal quale un severo censore abbia cancellato ogni frase superflua, lasciando solo crudeli informazioni che comunichino l'essenziale, il senso profondo.
I palestinesi, uomini donne vecchi bambini, camminano con la dignità dei popoli i cui antenati hanno trasportato pesanti fardelli sulla testa in mezzo a torridi campi. […]
quando arriveranno (ma quanti resteranno per strada esausti rassegnati feriti) ci sarà da sfoderare denti e artigli e guadagnarsi una tana. Intanto sulla città abbandonata bombe e granate riprenderanno a cadere come se un gigante capriccioso si stesse divertendo con questo passatempo atroce, Israele e Hamas riprendono la loro guerra senza l'impiccio di questi inutili esseri umani.
La situazione si presenta come stranamente famigliare, abbiamo la certezza di aver vissuto nel passato quello che sta accadendo nel presente.
Le case devastate, la gente in fuga, gli uomini armati che sbucano dalle macerie, silenziosi, cupi: tutto ci suona familiare. Congo, Siria, Nigeria, Tigrai, Somalia. […] Hanno cercato di raccogliere poche cose, non c'è rimasto molto a Gaza da portar via dopo un mese di bombardamenti. Infatti nella fila ci sono molti che non hanno con sé nulla. Nella disperazione resta una consolazione, quella di separarsi da tutto, di essere ridotti a se stessi. «Bisogna andare», ha detto qualcuno. Bisogna imboccare la strada che porta verso l'Egitto, una strada che sembra la sintesi di tutte le strade dell'universo.
Lunga, grigia, eterna prosegue fin dove l'occhio può arrivare e alla fine di essa non c'è null'altro che un campo per profughi. Forse lì tornerà l'ora della salvezza. Non moriremo più. Credo che questa strada racconti queste esistenze palestinesi senza ombre di dubbi. Chilometri di strada dritta, camminare, senza fermarsi, scivolare via. Prima che sia troppo tardi. Senza riposo, senza mangiare né bere, umili, atterriti dal loro stesso spettrale cammino. […]
Sono diventati gli esuli: le vittime delle pulizie etniche, gli scarti delle terre che bisogna svuotare per renderle sicure, da usare come trincee. Rifletto. È la guerra che si rivela in questo lungo serpente di uomini. La guerra non quella dei libri e dei film ma quella vera nel suo aspetto brutale, senza diritti, regole, proibizioni. Questa gente ha passato settimane rannicchiata tra le case distrutte, sotto il tiro di aerei e cannoni. Non sono loro che fanno la grande Storia, ma la grande Storia si fa anche con loro, è intrisa del loro patire.
Se avessero tempo ci griderebbero, a noi che li guardiamo passare: non c'è nulla che possiate fare per noi, perché venite a spiarci, a guardarci camminare, a contarci come se fossimo armenti? Statevene nel vostro mondo perfetto, non vogliamo né la vostra comprensione né la nostra pietà. Improvviso il risveglio di una memoria formicolante di ombre: immagini di un altro popolo, gli ebrei, esuli che camminano nel deserto in senso contrario anche loro braccati dalla vendetta del faraone.
Con sorpresa mi sembrano fiaccole di una epopea lontana, tradita, epigrafi su un destino scomparso. Anche gli ebrei hanno vissuto l'esodo, l'esilio: trascendendo la loro solitudine come una prova, una promessa di comunione. Possono guardare senza rimorso questa fuga da Gaza?
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