Elisabetta Andreis e Gianni Santucci per "www.corriere.it"
Due genitori si presentano in commissariato. Chiedono quello che pare un paradosso: «Aiutateci a fermare la deriva di nostro figlio tossicodipendente. Arrestatelo, per forzarlo a curarsi. È l’unico tentativo che ci resta per cercare di salvarlo».
La storia si ripete sempre più spesso: madri e padri denunciano adolescenti con problemi di droga perché non riescono a contenerli. In questo caso i poliziotti si sono presi a cuore la famiglia, confrontandosi anche col Tribunale per i minorenni. Hanno fatto un’alleanza con i genitori. In una sorta di insolito «patto» stanno provando a imprimere una svolta alla vita del ragazzo «incastrandolo» per pur piccoli smerci di sostanza.
«L’obbligo alla cura per legge non c’è per nessuno, nemmeno per i ragazzi. Ma se nell’ambito di una condanna penale la comunità viene imposta come misura alternativa al carcere, c’è la facoltà di trattenerli anche senza il loro consenso — spiega il procuratore capo del Tribunale per i minori Ciro Cascone —. Il discorso resta comunque complesso: perché il percorso di cura funzioni i ragazzi devono ad un certo punto decidere di cambiare».
Un passo indietro. L’inizio è come tanti. Il ragazzo, che sta per compiere 18 anni, ha cominciato a fare uso «ossessivo» di cannabis in terza media, è peggiorato al primo anno di istituto tecnico («l’idea dello sballo in testa»). Velocemente è sprofondato nel tunnel della droga, versa in condizioni di gravissima tossicodipendenza: crack, ketamina, cocaina, psicofarmaci.
Da poco ha abbandonato gli studi, «è diventato magrissimo, non dorme di notte, a casa picchia, minaccia, ruba. Quando va in craving (smania) abbiamo paura».
I genitori avevano chiesto l’affidamento ai Servizi sociali e il collocamento in comunità. Il Tribunale per i minorenni aveva aperto un procedimento amministrativo. Ma i tempi su quel versante sono lunghi, le attese per entrare in comunità durano mesi.
Di più: in tutta la Lombardia c’è solo una comunità terapeutica accreditata per adolescenti, a fronte di oltre 300 minori tossicodipendenti in cura solo a Milano, e quelle educative «aperte» spesso non sono adatte a «contenere» i ragazzi. Sull’altro fronte i Serd, focalizzati su pazienti molto più in là con gli anni, non hanno risorse per offrire servizi specializzati per i giovani o avere orari flessibili e lo stesso vale per gli Smi.
L’unico dedicato agli adolescenti — lo Spazio blu — è poi «attivabile» solo quando è aperto un procedimento amministrativo o penale e solo nella città di Milano, non nell’intero ambito territoriale di competenza del Tribunale per i minori. Dice ancora Cascone: «Stiamo lavorando a una convenzione con le Asst e Spazio blu.
L’obiettivo sarebbe avere una regia generale e interlocutori sul territorio, specializzati per la presa in carico e la cura precoce dei ragazzi, con cui interfacciarci appena i ragazzi ci vengono segnalati». La comunità è soltanto parte del percorso, c’è un «prima» e un «dopo»: «Un sistema efficace in via di ipotesi potrebbe prevenire e persino evitare alcuni procedimenti amministrativi o penali alleggerendo il lavoro della giustizia», ragiona Cascone.
C’è poi il problema enorme e delicatissimo di come e quando convincere un adolescente a curarsi. Nell’attimo cruciale tra il primo buco e l’ultimo libero arbitrio cambia tutto. I ragazzi fino ad un certo punto sono sicuri di farcela e d’improvviso diventano sicuri di non potercela fare più.
Lo stesso vale per le famiglie. «Dovremmo potenziare la rete di prevenzione, anche con le scuole. E dovremmo riuscire a sostenere madri e padri in modo che agiscano prima, indirizzando precocemente e con fiducia i figli alla cura della tossicodipendenza che è vera e propria malattia».