Luca Pallanch per "la Verità"
Luciana Savignano, una delle ballerine più famose al mondo. Una stella assoluta e senza tempo, la cui luminosità illumina la scena ancora oggi, con l' entusiasmo e la passione che l' ha sempre contraddistinta e un talento naturale, forgiato ogni giorno grazie a una dedizione assoluta. Restia a parlare di sé stessa e della sua arte, Luciana accetta di svelare la sua filosofia di vita in occasione del festival internazionale Novara Dance Experience, in programma dal 23 al 27 giugno, dove le verrà conferito un premio alla carriera, che lei preferisce definire un riconoscimento all' artista «per quello che ha fatto e per quello che farà». Quindi con lo sguardo, e il corpo, sempre rivolto verso il futuro.
Come si è avvicinata al ballo? È stata una decisione sua o della sua famiglia?
«Io ho avuto due genitori meravigliosi: sono figlia unica e mi tenevano come in una bomboniera, quindi sono io che facevo le scelte e che ho voluto ballare perché ero abbastanza idonea per farlo. Mio padre era un grande amante del teatro e dell' opera, per lui quindi è stata una cosa bellissima che la figlia amasse entrare in questa scatola magica: la Scala di Milano».
Quanti aspettative aveva?
«Ho cominciato senza l' intenzione di dire: "Da grande farò la ballerina". Io ballavo perché mi piaceva ballare, mi piaceva quel mondo, senza la smania di voler arrivare. Ho seguito tutti i miei corsi da brava allieva e poi, pian piano, ha preso corpo questa cosa e mi sono resa conto che sarebbe diventata la mia vita».
Ricorda la prima volta che è entrata alla Scala?
«L' impatto è stato tale che mi ha dato la spinta per continuare. È stato un momento magico».
Quanti anni aveva?
«Non è importante l' età. Ero piccola!».
Aveva una fisicità diversa dagli standard dell' epoca, per la sua altezza.
«Ho avuto un fisico sempre molto proiettato verso il futuro. Non mi ha creato difficoltà, anzi per certi versi mi ha agevolato poi».
Qual è stato il momento in cui ha capito che questa grande passione poteva diventare la sua vita?
«Non c' è stato un momento preciso, è stato tutto un divenire. Non c' è stato un clic. Ho continuato sempre fiduciosa perché facevo quello che mi piaceva e mi dicevo: "Da qualche parte arriverò". Dove non lo sapevo nemmeno io».
Era la passione a spingerla.
«Non era il punto d' arrivo che mi interessava. Per me era importante ballare. È la mia filosofia di oggi. Non ho punti precisi di arrivo: mi proietto in avanti e vado, vado, fino a quando non si sa, non lo so ancora».
È un confronto continuo con dei limiti, reali o immaginari«Ma certo, bisogna sempre mettersi alla prova».
Quali sono stati i momenti più importanti all' inizio della sua attività?
«Non ce n' è stato uno in particolare forse quando ho fatto Il lago dei cigni perché mio padre era un grande amante del balletto classico, quindi per lui è stato un momento magico».
Anche sua madre la seguiva?
«Meno. Mia mamma era più preoccupata per l' impegno richiesto e per la mia salute fisica, vedendomi sempre così magrolina. Però era orgogliosa di me e, quando è mancato mio padre, mi ha seguito dappertutto».
Era un impegno gravoso
«Il tempo che dedicavo alla danza era tanto e non avevo energie per occuparmi di altro, a parte lo studio. Non avevo tempo per fare sport. Io non capisco oggi le ragazzine che seguono danza, pattinaggio, scherma, nuoto: fanno un po' di tutto, ma non al top. Meglio una cosa fatta bene che cento fatte male».
Diventare prima ballerina della Scala non è stato quindi un punto d' arrivo?
«Ero molto orgogliosa di raggiungere dei risultati ed è stata una gratificazione che mi ha fatto molto piacere. Non è stato un punto d' arrivo, perché poi ho continuato, sono diventata étoile, ho fatto altre cose. La mia è tutta un' evoluzione in divenire».
Un incontro fondamentale nella sua vita è stato quello con Maurice Bejart, il grande coreografo francese.
«È stato un incontro assolutamente importante. Mi ha scelto per la Nona sinfonia che abbiamo fatto a Bruxelles. È stato subito attratto da questo mio modo di essere, da questa mia fisicità un po' anomala: era come lui intendeva la ballerina. È stato un artista meraviglioso, con una cultura immensa, e lavorare con lui è stata un' esperienza che mi ha fatto crescere in modo esponenziale: mi ha forgiato e mi ha proiettato verso mondi che magari non avrei neanche immaginato. Con lui sono cresciuta, questa è stata la cosa più importante. Ogni giorno era un' esperienza».
Ha incontrato altre figure di questo livello?
«Ne ho incontrate altre: Mario Pistoni, Micha van Hoecke e poi ballerini meravigliosi che hanno accompagnato il mio percorso artistico. Tante persone sono state importanti nella mia vita».
Si è esibita con un talento come Rudolf Nureyev
«Nureyev, più che talento, aveva un carisma che gli apparteneva, e basta: quando entrava in scena, era lui».
L' aveva solo Nureyev questo carisma?
«L' ho riscontrato anche in altri, uno su tutti Jorge Donn».
In colleghe?
«Ballerine brave ce ne sono tantissime. Io avevo un' ammirazione incondizionata verso Majja Pliseckaja, Margot Fonteyn, la stessa Carla Fracci, personaggi da conoscere e che ho avuto la fortuna di veder ballare».
Che ricordo ha di Carla Fracci, recentemente scomparsa?
«È stata una collega verso la quale ho avuto molto stima. Soprattutto c' era sempre da imparare guardando i grandi e lei era un' altra di quelle ballerine che, quando entravano in scena, c' erano, come Nureyev».
Ricorda la prima volta che l' ha vista all' opera?
«Ero più piccola di lei: io facevo il cavallino e lei Cenerentola, quindi già la guardavo con ammirazione, con stupore. L' ho seguita sempre perché magari partecipavamo a serate, dove lei faceva delle cose, io ne facevo delle altre, perché avevamo due repertori diversi. È un po' come se fosse venuta meno una parte della mia famiglia: non vederla mi mancherà tantissimo».
Non ci sono grandi rivalità nell' ambiente del ballo?
«Ci saranno anche, ma non fanno parte del mio mondo».
È soprattutto un viaggio dentro sé stessi, per superare i propri limiti«Io trovo che ognuno è un caso a sé: ogni artista è diverso dall' altro, per il repertorio, la sensibilità, la personalità. È questa la bellezza dell' arte».
A 20 anni ha fatto un corso di perfezionamento al Teatro Bolshoi di Mosca.
«Sono andata per imparare. Anche lì c' era da guardare e apprendere, vedere i ballerini, gli spettacoli. Mi rendevo conto che eravamo delle privilegiate perché avevamo una maestra russa tutta per noi che ci curava e ci accompagnava nel nostro studio quotidiano».
C' erano differenze nel metodo di insegnamento rispetto alla Scala?
«La danza, quando è con la D maiuscola, non è che presenti grandi differenze. È stata un' esperienza che mi ha aiutato a far sì che controllassi di più il mio corpo perché, essendo molto duttile, in alcuni momenti dovevo capire cosa usare con il mio fisico».
Qual è il rapporto con il suo corpo, che è la forma e lo strumento della sua arte?
«Io ho sempre ascoltato molto il mio corpo e questo è il mio segreto. Per far sì che ti risponda con l' andare del tempo bisogna ascoltarlo perché ti lancia dei messaggi e se li senti, hai dei vantaggi. Io, avendolo sempre fatto, mi posso permettere di ballare tutt' oggi. Faccio ancora degli spettacoli. Se le regalano una pianta di fiori e lei la innaffia tutti i giorni e la cura, la pianta dura nel tempo, se la trascura invece».I messaggi del corpo sono ovviamente diversi nelle varie fasi della vita.
«Bisogna intelligentemente capire di cosa il corpo ha bisogno in quel momento».
E questo consente di ballare in ogni età?
«Sì, se si tratta bene il materiale a disposizione. Ci siamo detti tutto?».
Tutto no, molto! Un' ultima domanda: lei vive a Torino?
«No, io vivo a Milano, mio marito vive a Torino. Mi destreggio tra queste due città.
Mio marito fa il medico a Torino ed è un modo di vita che io consiglio a chi si sposa».
Vivere tra due città?
«È un modo per far sì che tutto continui nella maniera più idilliaca. Il fatto di vivere un po' qui e un po' là permette, ogni volta che ci si incontra, che il rapporto si rinnovi e non cada nella routine del quotidiano».
Rinnovarsi è il verbo che la contraddistingue!
«Il segreto è che bisogna sempre rinnovarsi, nell' arte come nella vita».
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