Giacomo A. Dente per “il Messaggero”
Bisogna aspettare il secondo giovedì che precede il Natale e varcare le porte nebbiose della Langa per vivere un evento gastronomico arcaico e imperdibile. La festa del Bue Grasso di Carrù, che origina da antichi mercati del bestiame (il primo documentato risale al 1473) è infatti l'occasione per avvicinare i riti e le meraviglie del Gran Bollito Misto Piemontese.
«È dal 1910 che a Carrù si fa la Fiera intorno al bue grasso: bianco, maestoso, fantastico esemplare della razza piemontese», spiega Umberto Chiodi Latini, esperto di Barolo e patron del Vintage, autentico salotto di cucina tradizionale nel cuore di Torino.
«Il cuore dell'evento», spiega Chiodi Latini, «è il rito del Gran Bollito alla Piemontese, una vera e propria cerimonia che ha perfino prodotto una Confraternita con sede a Guarene nel Roero, e con appassionati affiliati - con tanto di Gran Priori e mantelli rossi - che si impegnano da quasi quarant' anni a tutelare un piatto icona del Piemonte più antico».
GLI INGREDIENTI
In effetti il gran bollito è una meravigliosa bouffe: ci si arriva come ad un rito dionisiaco, che prevede sette tagli di manzo (tenerone, stinco, scaramella, culatta o scamone, cappello da prete, punta col suo fiocco, noce) e ben sette ammennicoli - lingua, testina col musetto, coda, zampino, gallina, cotechino, rollata - che cuociono separati.
Il tutto servito di nuovo, all'insegna del cabalistico sette, con il potenziamento di altrettante salse e di sette contorni: verde rustica, verde ricca, rubra, cren, al miele, mostarda, côgna (frutta secca, cannella, chiodi di garofano) e, accanto, cipolline, finocchi, zucchini, foglie di verza al burro, e cipolle rosse, patate, rape, carote lesse.
Ma il bollito attraversa tutto il Nord Italia con piccole variazioni sui tagli di carne e sulle salse: basti pensare, nel Veneto veronese, alla pervasiva presenza del cren e della pearà, una salsa medioevale a base di midollo di bue, mollica di pane e pepe.
Inutile dire che, nel paese dei campanili, anche sul nome di questo piatto straordinario non manca un poco di confusione, visto che in alcune regioni come la Toscana o l'Emilia, si usa spesso il termine lesso al posto di bollito, Artusi compreso, salvo che il grande gastronomo aveva ben chiara la distinzione: se si vuole puntare tutto sul brodo si mette la carne in acqua fredda, e allora parliamo di lesso; se il cuore del nostro discorso è la carne, si parte invece dall'acqua bollente, che sigilla i succhi e ne evita la dispersione, ed eccoci al bollito.
NELLA CAPITALE
«Da noi a Roma il lesso non è serie B, ma intelligenza e sciccheria», spiega Annibale Mastroddi, guru dei macellai romani e gastronomo finissimo. «Pensate al picchiapò, uno stufato di lesso sfilacciato con pomodoro e cipolle che è una vera squisitezza».
Gli fanno eco Roberto e Loretta Mancinelli dell'omonima, storica trattoria dietro piazza Epiro a Roma: «Da noi un piatto irrinunciabile sono le polpette di lesso fritte, accompagnata da cicoria ripassata in aglio, olio e peperoncino per raccontare la Roma vera di Pasquino».
Nella diversità dei bolliti, una spinta all'unità si può trovare in un oste toscano vissuto nella prima metà dell'800, Luigi Bicchierai, detto Pennino con locanda a Ponte a Signa, autore di un immaginifico brogliaccio dove, in un pensiero del 1849, si legge: Con tutti questi moti di ribellioni e voglia di accorpare l'Italia io che sono oste me la figuro come un bel pentolone di bollito: zampa, lingua, carne varie, odori».
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