Leonetta Bentivoglio per “la Repubblica”
«È un'opera sul potere, sulla colpa e sulla sofferenza delle vittime di un dittatore pronto a tutto per la sua sete di dominio. Un personaggio che pagherà un prezzo altissimo per i suoi delitti, slittando nella follia e nella morte. Con una trama del genere, come si fa a supporre che Boris Godunov sia propaganda a favore della Russia?».
Il regista danese Kaspar Holten, a Milano per mettere in scena il capolavoro russo Boris Godunov, diretto da Riccardo Chailly e con Ildar Abdrazakov nel ruolo principale, parla con calma e lucidità. Eppure sono giorni di fuoco per la Scala, dove il suo allestimento dell'opera di Musorgskij sta per aprire la stagione sotto i riflettori di Sant' Ambrogio, nel clima di attenzione che merita il 7 dicembre.
Le polemiche sul titolo cui s' affida la serata si sono scatenate di recente da parte ucraina, con appelli ufficiali per stoppare un'opera reputata celebrativa della cultura russa. In questa sua prima intervista sull'argomento, Holten replica agli attacchi in un inglese limpido. Nato nel '73, ha già al suo attivo tanto lavoro riuscito nel mondo (tra l'altro ha guidato il Teatro Reale di Copenaghen e la Royal Opera House Covent Garden di Londra). Qualcosa di dinamico, tenace ed entusiasta gli dà un piglio da ragazzo. Holten: perché stupirsi? Come si può presentare "Boris Godunov" senza pensare a ciò che sta succedendo in Ucraina?
«Chiunque conosca i meccanismi e i tempi dei teatri, capirà che il Boris fu deciso anni prima della guerra. Ma al di là di questo, l'opera parla di censura, smascheramento degli ingranaggi del potere, sacrificio di innocenti: temi forti e necessari più che mai». La sua visione di Godunov? Nella realtà storica fu lo Zar di tutte le Russie dal 1598 al 1605.
«È un uomo brutale che mi ha ricordato il Riccardo III di Shakespeare. La mia chiave per entrare in quest' opera complessa e inusuale, feroce e priva di storie d'amore, è stato il dramma di Pukin a cui s' ispira il libretto del Boris : Pukin ricalcò certe tragedie shakespeariane. Per di più il Boris storico e il drammaturgo Shakespeare vissero proprio nello stesso periodo. La vicenda cupa e sanguinaria del Boris riecheggia anche il Macbeth , nel segno di una continuità rispetto allo spettacolo del Sant' Ambrogio scorso, che fu il Macbeth di Verdi tratto da Shakespeare.
La differenza, rispetto al Boris , è che nell'opera verdiana c'è l'importante personaggio femminile della Lady. Molto shakespeariano, nel Boris , è il motivo dei fantasmi che tornano dal passato e perseguitano i loro aguzzini. Nello spettacolo Godunov continua a vedere lo spettro dello Zarevi Dmitrij, erede al trono che lui fece uccidere. Si manifesterà come un ragazzo coperto di sangue. È la materializzazione onnipresente del suo senso di colpa e lo porta a impazzire. Il potere cieco e assoluto non è mai salutare per la mente».
Qual è l'ambientazione della messinscena?
«Decisivo nell'opera è il monaco Pimen, che sta scrivendo la cronaca delle vicende russe. Incarna un richiamo alla verità e all'esigenza di testimoniarla. A suo modo è un giornalista in lotta contro un sistema che manipola le informazioni. Perciò la scena prevede un lungo foglio cartaceo, come di giornale, che diventa il fiume della Storia in cui s' incontrano passato e futuro. L'opera è divisa in due parti. Nella prima assistiamo a ciò che accade a Boris guardandolo dall'esterno. Nella seconda, che si svolge sette anni dopo, accediamo a una prospettiva interna osservando i fatti dentro la testa di Boris che precipita nella follia. In entrambe le sezioni c'è lo stesso set, ma usato in modo diverso».
Boris viene raffigurato come un tremendo manipolatore. Non ha pensato di metterlo in scena come Putin, in un contesto contemporaneo? Molti suoi colleghi lo avrebbero fatto.
«Credo che evidenziare un parallelismo tra Boris e Putin sarebbe solo una pantomima di cattivo gusto. La situazione in Ucraina ci viene restituita di continuo dalla televisione e dalla stampa. L'arte teatrale è tutt' altro. Non si può usare la sofferenza mostrataci dalle cronache quotidiane per costruire uno spettacolo».
A suo parere l'arte deve occuparsi di politica oppure sottrarsi all'attualità?
«L'arte è sempre implicitamente politica e non può mettersi a fare giornalismo. L'arte non è uno show documentario, ma qualcosa che, se si esprime in modo significativo ed efficace, comunica a livelli profondi».