“DOPO 23 ANNI ANCORA MI CHIEDONO DI SELEN. MA IO SONO LUCE” - L’EX PORNOSTAR OGGI ESTETISTA: “NON RINNEGO IL PORNO. FA PARTE DELLA MIA VITA. MA SE TORNASSI A NASCERE, NON LO RIFAREI. QUANDO HO INIZIATO MI INTERESSAVA SPERIMENTARE. ERA LIBERTÀ DI COMBATTERE CERTI STEREOTIPI BORGHESI, VOLEVO VEDERE COSA C'ERA OLTRE LA FAMIGLIA, LA LAVASTOVIGLIE, IL LAVORO IN BANCA. ORA NON LO RIFAREI PERCHÉ È UN MESTIERE CHE TI LASCIA UN MARCHIO E TUTTA LA LIBERTÀ CHE MI SONO CONCESSA LA STO ANCORA PAGANDO…”

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Niccolò Zancan per “Specchio - la Stampa”

 

SELEN - LUCE CAPONEGRO SELEN - LUCE CAPONEGRO

Si chiamava Selen, ma adesso non più. «Mi chiamo Luce, Luce Caponegro. Questo è il mio vero nome. Sono passati 23 anni dalla mia ultima esperienza nell'hard, rimango stupefatta quando ancora mi chiedono di quell'epoca». Non deve essere facile riappropriarsi della propria identità dopo aver abitato sotto mentite spoglie le fantasie di molti italiani. Il primo film di Selen si intitolava «Orgia di compleanno», il secondo «Signore scandalose di provincia».

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Venti titoli a luci rosse in otto anni di carriera.

«Ne è passata di acqua sotto i ponti. Ho lavorato nel mondo dello spettacolo, ho fatto televisione e pubblicità, ho studiato, ho aperto un centro estetico. Sono cambiata come persona. E io penso che cambiare, cercare di evolvere, sia la cosa più importante nella vita di ogni essere umano. Ma voi giornalisti ancora continuate a farmi le stesse domande».

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Qual è la domanda che le rivolgono più spesso?

«Se rinnego o non rinnego l'hard. No, non lo rinnego. Fa parte della storia della mia vita. Ma se tornassi a nascere, non lo rifarei più. Cambiare richiede grandi sforzi e anche una buona dose di dolore».

 

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Perché non lo rifarebbe?

«Quando ho incominciato avevo sposato la filosofia hippy, mi interessava sperimentare. Era libertà di giocare con me stessa e di combattere certi stereotipi borghesi, volevo vedere cosa c'era oltre la famiglia, la lavastoviglie, il lavoro in banca. Quello che facevo era considerato trasgressivo, adesso lo sarebbe molto meno. Non lo rifarei perché è un mestiere che ti lascia un marchio. Non lo rifarei perché è venuto meno il senso politico e sociale di quella ricerca espressiva. Non lo rifarei perché tutta la libertà che mi sono concessa la sto ancora pagando».

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Luce Caponegro risponde al telefono da una casa di Ravenna, la sua città. Ha avuto il Covid in questa terza ondata, ma ne è uscita bene grazie a cure molto tempestive. Sogna un viaggio in Oman, a vedere i delfini. Se gli domandi quale sia stato il giorno più felice della sua vita, non ha esitazioni: «Quando è nato Gabri. Per me c'è una vita prima e una vita dopo di lui, come avanti e dopo Cristo. La nascita di Gabri ha sancito definitivamente il mio modo di essere donna. Ho avuto un figlio anche a 19 anni, che amo di altrettanto amore. Ma a quell'età ero troppo giovane. Diventare ancora madre a quarant' anni è stato un dono, un'esperienza catartica e travolgente. Speravo di avere oltre a un figlio anche una famiglia, ma le cose sono andate diversamente. Sono una mamma single. Gabri me lo sto crescendo da sola».

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Al tempo della nascita del secondo figlio, quattordici anni fa, Luce Caponegro si è presa un anno sabbatico per studiare. Voleva saldare un conto con se stessa.

«Quando stavo per finire il liceo, appena compiuti 18 anni, me ne ero andata di casa e avevo abbandonato la scuola. Soffrivo tantissimo per il fatto di avere soltanto la terza media. Mi sono diplomata con ottimi voti e dopo avrei voluto iscrivermi a Scienze dell'alimentazione all'Università di Urbino, ma Gabri era piccolo e non potevo permettermi quella trasferta. Così ho deciso di fare una scuola di tre anni per diventare estetista. Mi piace prendermi cura del corpo delle donne».

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È la vita di adesso.

«Non ho mai smesso di studiare e di aggiornarmi. Amo questo lavoro, ma noi dei centri estetici siamo fra quelli più colpiti dalla pandemia. Ci hanno imposto protocolli rigidissimi, giusti, che noi abbiamo adottato senza reticenze. Abbiamo fatto investimenti importanti per poter lavorare in sicurezza, ma poi ci hanno chiusi lo stesso».

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Qual è la morale della favola?

«I ristori sono una presa per il culo. In un anno io ho ricevuto in tutto 800 euro. Siamo di nuovo chiusi, ma il tassametro delle spese non si ferma. Conosco personalmente un imprenditore che ha perso 2 milioni di fatturato e ha ricevuto 19 mila euro di ristori. L'Italia non è la Germania. Se questo pandemia è una guerra, l'Italia è il Paese che perde. L'ultimo. Ci danno indietro le briciole».

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Cosa la fa arrabbiare?

«Per esempio, l'abusivismo spericolato. Ci sono personaggi famosi che mostrano di avere parrucchiere ed estetista a casa. Eppure le regole dovrebbero valere per tutti».

 

Cosa le manca di più?

«Socializzare veramente, abbracciarsi, il contatto fisico. Questa estrema digitalizzazione ci sta disumanizzando».

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