Claudia Guasco per “il Messaggero”
Da sabato sera il comandante Rome non dà notizie. La sua squadra è stata attaccata durante un'operazione a Mariupol: «Il gruppo di Ivan è vivo, stanno cercando di tornare indietro».
Ma negli scontri cinque soldati sono morti e quattro feriti. Non si conoscono i loro nomi e sulla sorte di Aquila nera le notizie sono frammentarie, filtrano a fatica dall'assedio della città. Il padre Pietro, settant' anni, aspetta. Un mese fa diceva: «Ivan Luca sta bene, so solo questo».
Poi è stato risucchiato da una guerra non sua, il richiamo è stato irresistibile.
Ivan Luca Vavassori faceva il portiere di calcio in Bolivia, un giorno ha postato una foto delle scarpette appese al chiodo e ha imbracciato il kalashnikov: «È una decisione difficile ma può salvare delle vite. Non lasciamoli da soli, hanno bisogno di noi», scriveva sotto il bando di reclutamento di legionari del consolato ucraino.
PORTIERE
Ivan Vavassori, trent' anni compiuti il 20 aprile, è figlio adottivo del titolare dell'Italsempione, importante azienda lombarda nel settore della logistica, e di Alessandra Sgarella, sequestrata dalla 'ndrangheta nel cortile di casa a Milano a dicembre 97.
È rimasta prigioniera dei banditi nella Locride per dieci mesi proprio mentre lei e il marito aspettavano l'arrivo di Ivan allora bimbo di cinque anni da Elektrostal, nei pressi di Mosca. Alessandra Sgarella è morta nel 2011 e Ivan ha fatto sua la passione del padre per il calcio: Pietro è stato patron della Pro Patria fino al 2015, il figlio portiere in serie C nella stessa squadra, quindi ha giocato con la maglia del Legnano e del Bra.
Poi ha tentato il grande salto partendo per la Bolivia e allenandosi con il Real Santa Cruz, puntando a un ingaggio. Finché i russi invadono l'Ucraina e la sua visione del mondo cambia così come il diario sui social: da allenamenti, parate tra i pali e sessioni in palestra alle ricognizioni tra morti e macerie, nelle file delle brigate internazionali.
«In mezzo a una foresta bruciata dai bombardamenti russi. A solo 500 metri dalla linea nemica. Senza casco ne protezioni. Senza paura. Sentinelle in azione», è uno dei suoi video. Ha annunciato la partenza per l'Ucraina il 28 febbraio: «Non voglio stare a guardare». E le ultime foto in un mondo di pace - nel salotto di casa con il cane, al ristorante, in vacanza su un quad - sono una dedica d'amore alla fidanzata Eliana: «Quando uno va in queste situazioni ha il 50% di possibilità di ritornare vivo. Lascio dietro di me qualcuno di fantastico come te».
Aquila nera, chiamato così per il nastro nero che lega al caricatore del mitra, è sparito nei feroci combattimenti a sud est del Paese e potrebbe essere stato coinvolto in un attacco russo. La notizia viene diramata in un messaggio dal suo profilo: «Ci dispiace informarvi che la scorsa notte, durante la ritirata di alcuni feriti in un attacco a Mariupol, due convogli sono stati distrutti dall'esercito russo. In uno di questi c'era forse anche Ivan, insieme con il quarto Reggimento». A sedici ore dalla scomparsa del comandante Rome, arriva un aggiornamento. «La squadra di Ivan è ancora viva - si legge - Stiamo provando a portarli indietro.
Il problema è che sono circondati dalle forze russe così non sappiamo quando o quanto tempo impiegheranno a rientrare. Ci sono cinque morti e quattro feriti. La nostra squadra migliore sta provando a riportarli indietro però non sappiamo il numero dei nemici e il tipo di truppe».
AL FRONTE
Aquila nera non si è mai tirato indietro di fronte ad alcuna missione. All'inizio scalpita, si sente sottoutilizzato, proprio lui che sostiene di poter contare sulla dura formazione della Legione straniera: «Avevo firmato per cinque anni ma sono uscito dopo tre». Gira i primi video con la colonna sonora di Platoon, vuole entrare in azione.
ivan luca vavassori e alessandra sgarella
Si definisce «guerriero del Signore, duro di testa e difficile da gestire», non si demoralizza nonostante le armi recuperate dalle brigate internazionali siano poco più che reperti della Seconda guerra mondiale. «Ci mancano armi e vestiti per difenderci dal freddo», racconta. Malamente equipaggiato, finisce in prima linea. Viene colpito: «Primo fottuto proiettile, febbre a 39,5. Però non posso fermarmi. Domani medicine e si torna a combattere».
Esce vivo da una missione suicida: «Faccio parte della fanteria, sono un assaltatore. Siamo riusciti a rubare dei blindati russi, dei bazooka e altre armi. Abbiamo deciso di proseguire in incognito, armati di mitra kpos attaccheremo le basi del nemico. Morire vent' anni prima o vent' anni dopo, poco importa».
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