Solange Savagnone per sorrisi.com
Anna Safroncik, star di “CentoVetrine” e “Le tre rose di Eva”, è sconvolta per quello che sta succedendo nel suo Paese. L’attrice è nata a Kiev, la capitale dell’Ucraina, il 4 gennaio del 1981. E lì, fino a lunedì scorso, viveva ancora suo papà Jevhenij, 75 anni, professore universitario di canto e tenore, con la seconda moglie.
Anna, innanzitutto come stai?
«Sono a pezzi, in ansia e non dormo da giorni. Non riesco a parlare, non mi ricordo nemmeno che giorno è».
Sono passati alcuni giorni dall’inizio dell’attacco russo. Com’è in questo momento la situazione di tuo padre?
«Sono riuscita a convincerlo a partire e ora è a Roma. Lui viveva in centro, dietro piazza Majdan, e stava a casa sua dove per fortuna c’erano ancora la luce e il riscaldamento: non se la sentiva di andare nei rifugi perché lì fa molto freddo. E c’è anche il Covid in giro. Sui giornali fanno vedere la gente nei rifugi, ma è una minoranza, la maggior parte delle persone è ancora a casa. Soprattutto gli anziani non escono: sono soli, disperati e non hanno rifornimenti. Ma quando chiamavo papà, sentivo cadere le bombe…».
Qual è lo stato d’animo di tuo papà?
«Ha una dignità, un orgoglio e un senso di appartenenza incredibili. È lui che consola me. Adesso è finalmente a casa con me, dopo aver attraversato il confine con la Polonia, anche se ha tardato alla dogana perché sul pullman c’erano uomini sotto i 60 anni che sono stati fermati, rimpatriati e arruolati. Lo hanno aiutato degli amici, ha preso un aereo ed è arrivato in Italia: tra noi c’è stato un abbraccio che non dimenticherò mai».
Hai scritto in un post: “Mai avrei pensato che i miei incubi di quando ero bambina, ricordando Chernobyl, la caduta del comunismo e la Perestrojka, la fuga verso l’Italia, si sarebbero ripresentati…”. Che anni sono stati quelli?
«Sono cresciuta a Kiev fino a 12 anni, quando con mia madre ci siamo trasferite ad Arezzo, e ho vissuto il comunismo. Sono sovietica, parlo russo, non ucraino. Chernobyl si trova a 60 chilometri da Kiev. Ricordo che il 1° maggio 1986 eravamo tutti in piazza a festeggiare e nessuno ci aveva detto dell’incidente (avvenuto il 26 aprile, ndr). Dopo qualche giorno, le notizie hanno iniziato a trapelare perché gli ospedali si riempivano. Ricordo i binari affollati di donne e bambini in fuga, e ora rivedo le stesse scene. Mi sembra impossibile».
Poi nel 1991 c’è stata la dissoluzione dell’Urss e l’Ucraina ha dichiarato l’indipendenza. Che cosa ricordi di quel periodo?
«Avevo 10 anni, ero in terza elementare ed ero appena entrata nel “corpo dei pionieri”, che iniziavano a prendersi cura dei più piccoli fino a salire di grado ed entrare nel Partito comunista. La propaganda era gigantesca. Ci descrivevano il comunismo come l’unico modo degno di vivere. Così sono andata a scuola, con la mia divisa e il fazzoletto rosso appena conquistato con fatica. Arrivo e vedo che c’è la rivoluzione, tutti correvano e bruciavano i fazzoletti. I ragazzi più grandi mi hanno malmenata per levarmi il mio, ma io non volevo toglierlo perché per me era una conquista. Sono tornata a casa con il labbro spaccato. Quello stato di confusione, in cui il tuo mondo di colpo si ribalta, è riaffiorato di nuovo».
Per i tuoi com’è stato quel periodo?
«Mia mamma Lilija si è spaventata molto. Abbiamo lasciato l’Ucraina perché sapeva che ci sarebbero voluti anni per ricostruire il Paese. Quando c’era l’Urss, anche se poveri, avevamo la nostra dignità. Vivevamo bene, eravamo felici. Con la Perestrojka abbiamo iniziato a vivere molto peggio. I prezzi sono saliti alle stelle. Oggi lo stipendio medio in Ucraina è di 200 euro. Quando andavo a fare la spesa, al supermercato sotto casa di papà, spendevo quanto in Italia. Non so come facciano a vivere. Papà dice che ricorrevano al mercato nero».
Prima del 24 febbraio c’era la sensazione che stesse per accadere qualcosa di così terribile?
«La guerra in Ucraina dura dal 2014: non è mai finita, anche se nessuno ne parlava più. Ma si combatteva al confine, nel Donbass e in Crimea. La gente non pensava che si arrivasse a un conflitto così grande e che si colpissero anche i civili».
Adesso cosa farete?
«Sarò io a occuparmi della mia famiglia. Ma il mio pensiero va agli anziani. L’anno scorso ho perso entrambi i nonni. Mia nonna è morta di Covid, non ho potuto salutarla né seppellirla. Non posso pensare che poteva essere anche lei a Kiev fra i tanti anziani soli. Oggi che ho tranquillizzato il mio cuore, mi adopererò in ogni modo per aiutare gli altri, anche se non so bene come. Ringrazio tutti quelli che si sono fatti avanti per dare una mano. Questa guerra non è lontana, è di tutti, è a casa nostra».
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