Pierluigi Battista per il “Corriere della Sera”
Ma lasciatela un po' in pace, Nadia Toffa. O almeno, polemizzate con lei in modo più gentile oppure, come dire?, più delicato, attento. Rispettoso, è chiedere troppo? Che si debba demolire una ragazza che ha scritto un libro, Fiorire d'inverno edito da Mondadori, per raccontare il suo precipitare nel cancro, per dare un senso al dolore, per corazzarsi di ottimismo, per munire di nuove armi una battaglia che non avrebbe mai voluto combattere, che insomma ci si debba sentire obbligati all'acrimonia, all' attacco rancoroso, persino allo sberleffo anche su argomenti tanto colmi di sofferenza, è il segno di un incattivimento di cui vorremmo fare a meno.
Nadia Toffa ha scritto in questo libro cose anche ingenue: e questo sarebbe un delitto culturale da accogliere con crudele severità? Ha usato anche un termine, «dono», che davvero non può avere cittadinanza nel percorso di dolore che chi si ammala di tumore è costretto ad affrontare. Ma tra Nadia Toffa, imbottita di chemio e di medicine, e i suoi risentiti fustigatori, che possono pure avere ragione, ma la dicono con una prosopopea che li getta immediatamente nel torto marcio, allora con Nadia Toffa, sempre.
Che magari, nel fuoco della sua battaglia, è spinta a idealizzare la forza di volontà come strumento decisivo per sgominare quello che Oriana Fallaci chiamava «l'alieno». Però attenzione, perché poi si rischia di colpevolizzare chi quella battaglia alla fine la perde: hai perso perché ti è mancata la volontà di combattere, sei finito perché hai condotto male la guerra, prigioniera di una volontà debole.
Quando Silvia ha scoperto il suo tumore al polmone, abbiamo più volte letto insieme quel passo di Susan Sontag, anche lei una guerriera sconfitta sul fronte del cancro, in cui si diceva che «le teorie psicologiche della malattia sono un mezzo poderoso per gettare la colpa sul malato. Spiegare ai pazienti che sono loro stessi la causa, involontaria, della propria malattia significa anche convincerli che se la sono meritata».
È così: bisogna stare attenti alla colpevolizzazione di chi non ce la fa, di chi viene schiantato da una forza prepotente e spietata. Silvia, che proprio oggi festeggerebbe i suoi primi sessanta, ha combattuto come una leonessa ma purtroppo non ce l' ha fatta. Non si è «meritata» la sconfitta. Ma Nadia Toffa non si merita un trattamento così.