Estratto dell’articolo di Micol Lavinia Lundari Perini per www.repubblica.it
Loro malgrado sono finiti dentro l’inchiesta della Procura di Macerata che ruota attorno a un dipinto, “La cattura di San Pietro” del pittore Rutilio Manetti, esponente del Seicento senese: Samuele e Cristian De Pietri sono i titolari del Glab di Correggio, un laboratorio che realizza riproduzioni di opere originali.
Tutta la vicenda parte però da Pinerolo, una decina di anni fa. Nel 2013 la tela di Manetti fu trafugata dal castello di Buriasco. L’indagine della Procura di Macerata intende chiarire se la “Cattura” che è di proprietà di Vittorio Sgarbi sia l’opera che era rubata nel Torinese o sia effettivamente, come racconta il sottosegretario ai Beni culturali, un altro dipinto dello stesso autore rinvenuto nella villa Maidalchina, nel Viterbese, acquistata dalla madre una ventina di anni fa. A differenziare le due opere il dettaglio di una candela, presente nella tela di proprietà di Sgarbi e assente nel dipinto di Buriasco. Una delle ipotesi è che quella candela sia stata apposta in seguito.
«Vittorio Sgarbi sta cercando di spostare l’attenzione sulla nostra tecnologia e sul nostro prodotto», denuncia Samuele De Pietri. «Noi abbiamo creato un vero e proprio clone del dipinto, e quando è stato qui da noi l’ha potuto visionare. Ora sta cercando di depistare le indagini in atto per non far vedere che (nella mostra a Lucca del 2021, ndr) ha esposto la nostra copia. Dalle immagini che noi riusciamo a trovare in alta risoluzione in rete - ma anche tramite tutta la gente che ci ha contattato - noi riconosciamo il nostro difetto di stampa di quell’opera, la nostra firma. È palese».
IL POST DI VITTORIO SGARBI SENZA SCARPE CONTRO REPORT E IL FATTO
Clone che presentava la famosa candela, attorno cui ruota l’inchiesta.
«Io quando ritiro l’opera a Padova, la ritiro con la candela. Poi che sia stata aggiunta o no... Noi abbiamo fornito tutte le scansioni al Nucleo investigativo. Di questo non posso parlare. Ora il fatto centrale è che lui prende le distanze da noi, quando con lui siamo stati anche in Parlamento».
Perché un collezionista chiede alla vostra azienda di creare un clone di un quadro?
«Per tutelare l’originale. Ci capita spesso di fare delle vere e proprie copie, così le persone le possono esporre in casa senza mettere in pericolo l’originale, che è protetto in un caveau. Oppure è in una mostra: ci è capitato che il proprietario di un dipinto che andava per mesi all’estero volesse riempire il chiodo in casa con la riproduzione di un’opera importante. Noi abbiamo delle copie qui in laboratorio: è difficile riconoscere l’originale, se non si guarda sul retro».
[...] Sgarbi è stato il vostro cliente più rinomato?
«No, è stato un nostro cliente, questo sì. Ci ha aperto il mercato, è quello che ci ha certificato, mi passi il termine, perché ci ha portato in Parlamento e ci ha presentato tanta gente, anche Erik Schmidt, neodirettore del museo di Capodimonte. Sgarbi ci ha aperto tante porte. Poi direttamente a lui abbiamo fatto alcune opere di cui non posso più parlare. Abbiamo iniziato a lavorare per lui nel 2021, il quadro l’ho ritirato nel 2020».
Si è fatto vivo con voi in questi giorni?
«Assolutamente no. Parla di noi sulla stampa, in tv, l’ultimo intervento nella trasmissione di Porro dove ha portato un Adelchi Mantovani di cui noi abbiamo una riproduzione ma la ricostruzione del perché è stato fatto quel dipinto è completamente errata».
Il fatto di aver esposto a Lucca il clone anziché il quadro autentico sminuisce la vostra opera?
«Per noi è un vanto che sia stato esposto il nostro clone e nessun critico – si vede dalle immagini di Report – se n’è accorto, il che significa che allora facciamo davvero un prodotto ottimo, a differenza di quello che dice Sgarbi».
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