Cesare Giuzzi per www.corriere.it
Calero Ramirez e Carlos Gabriel Velasco
Nei film gli assassini scappano dopo il delitto. Non vanno in un parco a dividersi quaranta euro di bottino per spenderli subito in lattine di birra. Non indossano gli stessi vestiti usati per uccidere e non si scambiano messaggi sul cellulare con la notizia dell’assassinio. E neppure si presentano a rivendere la refurtiva al Compro oro lasciando i propri documenti d’identità.
Ma nei film nessuno uccide per così poco. Nessuno mai si metterebbe ad accoltellare e a finire con un ferro da stiro una novantenne cieca e malata per portarle via una manciata di niente: due collanine, un anello, un orologio, quaranta euro presi da un portafoglio e un paio d’occhiali da sole.
Fernanda Cocchi, una vita da sarta, è morta uccisa da due assassini senza un piano e senza un senso. Le cose sono andate così, con lo squallore di un male brutale e al tempo stesso normale, dove ci si dà appuntamento al telefono come ci si vede per bere un aperitivo. Sorseggiando brandy e succo d’arancia nell’attesa di andare ad uccidere.
La chiamata
«Ieri mattina ho chiamato il mio amico Gabriel a cui ho proposto di andare a rubare a casa di una vecchietta che abita al primo piano del mio palazzo — racconta nelle sommarie informazioni Mario Abraham Calero Ramirez, 44 anni peruviano, appena fermato dagli agenti —. Lui era d’accordo e gli ho consigliato di portare i guanti per non lasciare impronte. Ci siamo incontrati alle 12 al parco Sammartini e abbiamo iniziato a bere brandy mischiato con succo d’arancia».
Sono quasi le 14 di venerdì scorso. Calero Ramirez e l’amico 22enne Carlos Gabriel Velasco, ecuadoriano, sposato e con un figlio, hanno fretta di uccidere: «Quando Gabriel mi ha chiesto di andare dalla vecchietta gli ho risposto che dovevamo aspettare le 14 perché sapevo che usciva a buttare la pattumiera».
La prima confessione — non confermata davanti all’avvocato e al pm Rossella Incardona dove gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere come accaduto ieri durante l’udienza di convalida del fermo davanti al gip Anna Calabi che ha confermato il carcere — svela però tutti i dettagli del delitto e permette alla polizia di rintracciare i pantaloni indossati da Calero Ramirez e gettati in un cantiere di via Medeghino.
Il racconto
Il racconto è lucido, preciso, drammatico quando ricorda la lotta per sopravvivere dell’anziana. «Verso le 14 siamo andati in via Ponte Seveso 26, io sono entrato e ho accostato il portone condominiale e la porta della scala A per permettere a Gabriel di seguirmi — racconta il 44enne alla polizia —. L’ho aspettato sul pianerottolo del primo piano e quando mi ha raggiunto ho visto che aveva tirato su il cappuccio della felpa grigia e la mascherina.
Ho indicato a Gabriel la porta e lui ha proposto di coprire gli spioncini. Lo ha fatto usando uno scontrino che avevo in tasca del Carrefour. Ci siamo messi i guanti». I due a quel punto aspettano la loro preda, nascosti sul pianerottolo: «Dopo mezz’ora, quando la vecchietta è uscita Gabriel l’ha presa da dietro con un braccio intorno al collo e con l’altra mano le ha tappato la bocca. Siamo entrati in casa e ho chiuso la porta con le chiavi che erano inserite. Gabriel l’ha trascinata in sala e l’ha buttata a terra. La signora reagiva e provava a urlare. Il mio amico mi ha detto di prendere il coltello dalla tasca della sua felpa e di usarlo. Io con il manico le ho tirato due colpi alla testa».
I colpi mortali
Calero Ramirez racconta di non aver avuto il coraggio di ammazzare, ma forse è solo un tentativo di scaricare le responsabilità sul complice: «Gabriel mi ha detto di usare la lama ma io non me la sentivo perché non volevo ucciderla e allora, visto che la signora a terra continuava a urlare mi ha detto di tenerla ferma e di dare il coltello a lui. Gabriel col coltello l’ha colpita sulla nuca e sul collo.
La signora ha smesso di urlare, ho capito che era morta». I vigili del fuoco la troveranno sul pavimento con il cordone del ferro da stiro annodato al collo. Per il medico legale è possibile che i colpi letali siano stati sferrato proprio con la piastra dell’elettrodomestico. «Abbiamo iniziato a cercare soldi. Ho trovato un portafoglio in cucina, c’erano dentro 40 euro. Ho preso i soldi.
Abbiamo poi preso un paio di occhiali da sole, un altro portafoglio marrone da donna, vuoto, e un orologio color acciaio che ho trovato in camera da letto». È a quel punto che viene incendiato l’appartamento per eliminare le tracce: «Dopo avere cercato in tutta la casa, Gabriel ha deciso di dare fuoco usando l’accendino della cucina e una maglietta sintetica. Io non ero d’accordo, non ho fatto niente per bloccarlo e sono andato verso la porta di uscita».
Dopo il delitto
Il racconto del 44enne peruviano prosegue spiegando cosa è avvenuto dopo il delitto. Lui in quei giorni dormiva dalla sorella che abita al quarto piano della stessa palazzina della vittima.
E proprio nel palazzo Calero Ramirez verrà notato e fermato la mattina di sabato durante un sopralluogo dai poliziotti della Omicidi, diretti da Marco Calì e Alessandro Carmeli: «Gabriel è uscito dall’appartamento, poi sono uscito subito anche io e sono andato al quarto piano a casa mia a pisc.... Dopo qualche minuto ho raggiunto Gabriel alla fermata della 91. Scesi a Lotto abbiamo preso l’autobus 98 e siamo arrivati in piazzale Segesta. Siamo andati al parco dove ci siamo divisi i soldi rubati, 20 euro a testa, e abbiamo preso delle birre. Verso le 22 sono salito sulla 91 e mi sono addormentato. Sono arrivato a casa alle 7 di mattina».