Costanza Cavalli per “Libero Quotidiano”
Su 201 posti di lavoro negli Stati Uniti persi a causa del #MeToo, 122 sono stati sostituiti con nuove assunzioni, 69 gli uomini e 53 le donne. Lo scrive il New York Times, poco più di un anno dopo aver dato il via allo "scandalo Weinstein": era il 5 ottobre del 2017 quando il quotidiano americano uscì con un articolo dal titolo «Harvey Weinstein ha pagato per decenni chi lo accusava molestie sessuali».
Si vociferava da anni che uno dei più importanti produttori di Hollywood non fosse un santo, ma da quel momento fu nero su bianco, parlarono decine di donne (attrici, modelle, dipendenti) e tutto il mondo lo seppe.
Le denunce, alla fine, saranno più di 80. Il polverone si alzò prima in America, dalle star di Hollywood, da Meryl Streep a George Clooney, alle personalità politiche, da Hillary Clinton a Barak Obama, fino all' espulsione di Weinstein dalla Academy, l' organizzazione che assegna gli Oscar; poi, complice l' hashtag di Twitter #MeToo (diventato virale e usato dalle donne per raccontare le loro storie di molestie o di violenze), si diffuse ovunque, uscì dal mondo dello spettacolo e fece irruzione negli uffici, nelle redazioni, in ogni posto di lavoro.
COME UN DOMINO
Ed ecco che ieri il giornale che ha mosso la prima tessera del domino va a vedere quante, di tessere, ne sono cadute. Sono oltre duecento gli uomini di spicco a essere stati rimossi dai loro ruoli (l' anno precedente allo scandalo Weinstein, invece, meno di 30 persone di alto profilo avevano fatto notizia per aver dato le dimissioni o per essere stati licenziati con l' accusa di «cattiva condotta sessuale», scrive il Nyt).
Tra questi duecento, per esempio, c' è Lockhart Steele, ormai ex direttore editoriale di Vox Media, licenziato dopo essere stato accusato di molestie sessuali, reo confesso; Roy Price, a capo degli Amazon Studios, si è dimesso dopo essere stato accusato di approcci sessuali indesiderati; Mark Halperin, giornalista politico licenziato dalle emittenti televisive Nbc News e Hbo dopo essere stato accusato di molestie sessuali da parte di ex colleghi di lavoro (si è scusato e ha ammesso diversi anni di comportamento «inappropriato»).
Molti, di questi 201, stanno affrontando processi penali. In tutto, le vittime che testimoniano sono almeno 920. Ma l' analisi del quotidiano americano non si ferma qui: a sostituirli, nel 43% dei casi, sono state donne. Un terzo nei media, un quarto nel governo e un quinto nel mondo dell' arte e dell' intrattenimento.
NUOVA TENDENZA
Insomma, in qualche modo un' inversione di tendenza c' è stata: fino a che non è scoppiato lo scandalo, l' inclinazione ad assumere con più "serenità" uomini era dovuta spesso alla maggior stabilità e prevedibilità della loro vita lavorativa: meno distrazioni familiari, niente maternità improvvise, niente sostituzioni indesiderate con raddoppio degli oneri.
Il "dopo Weinstein" ha invece inaugurato una nuova stagione, quella in cui sono i maschi a essere diventati imprevedibili: come sapere che un uomo non perderà mai il controllo e non si metterà a molestare una collega o una vicina, la quale fra l' altro non avrà neppure più le remore del passato a denunciarlo?
Con questa domanda, che non ha risposta, molte aziende hanno cominciato a considerare pericoloso mettersi in casa qualcuno che da un momento all' altro potrebbe finire sotto i riflettori con accuse infamanti, trascinando nel fango anche i suoi datori di lavoro.
«Non abbiamo mai visto qualcosa di simile», ha commentato Joan Williams, professoressa di legge esperta in tematiche di genere presso l' Università della California, «a causa della maternità, le donne sono sempre state considerate scomode, e ora invece sono gli uomini a essere considerati un' assunzione più rischiosa».
Inoltre la ricerca «ha ripetutamente dimostrato che le donne tendono a comandare in modo diverso. In generale, creano ambienti di lavoro più rispettosi. Le dirigenti femminili tendono ad assumere e promuovere più donne, pagarle più equamente e a rendere le aziende più redditizie», scrive il Nyt.
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«Le donne», infine, «portano le loro esperienze di vita nel processo decisionale, e questo può aiutare negli affari perché, nella vita quotidiana e nella gestione famigliare, prendono la stragrande maggioranza delle decisioni quando si tratta di acquisti. Nel governo, le donne hanno dimostrato di essere più collaborative e bipartitiche e di promuovere più politiche a sostegno delle donne, dei bambini e del benessere sociale», conclude il quotidiano.
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