‘SONO STATI GLI AL SHABAAB’: UN SOLDATO KENYANO SOSTIENE CHE SILVIA ROMANO SIA STATA RAPITA SU COMMISSIONE DEI TERRORISTI SOMALI. ‘HO VISTO MENTRE LA PORTAVANO VIA, GRIDAVA AIUTO, ERANO IN QUATTRO’, RACCONTA UN TESTIMONE - MA LE CERTEZZE SONO POCHE: VOLEVANO UN RAPIMENTO-LAMPO, MA LEI NON AVEVA SOLDI. A QUEL PUNTO, MENTRE GLI ABITANTI DEL VILLAGGIO PROVAVANO A LIBERARLA I RAPINATORI SI SONO MESSI A SPARARE E HANNO DECISO DI PORTARLA VIA

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Francesco Battistini per www.corriere.it

 

 

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«Sono stati gli Al Shabaab». Ma sei sicuro? «Sì». Glielo facciamo ripetere tre volte: «Sì, sono stati loro», i qaedisti della Somalia che hanno commissionato il rapimento di Silvia Costanza Romano. Gabriel Ibaya è appena rientrato dalla grande caccia, oggi nessuna traccia, «ma qui siamo tutti ottimisti». Lo è il suo capo, Noah Mwivanda, il comandante della polizia costiera e capo delle operazioni di ricerca: «Sì, attendiamo buone notizie entro le prossime 48-72 ore», dice.

 

Il comandante non vuole parlare di Shabaab, e allora è il suo sottoposto Ibaya a farlo. Perché nel campo base di Garsen, verso il confine somalo, alle porte delle grandi foreste dove si pensa che la ragazza milanese sia tenuta nascosta, fra i 100-150 uomini delle operazioni c’è un po’ d’agitazione. Camion che scaricano poliziotti, razioni K accumulate perché sarà una lunga campagna di ricerche.

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Gabriel, 45 anni, è un ufficiale dei corpi speciali kenyani e parla un italiano pasticciato, ha lavorato negli alberghi della costa come cuoco e ha imparato due cose: come si cucina e come si fa a raccontare cose vietate, in italiano appunto, senza che i suoi superiori capiscano. Così, ai giornalisti racconta quel che lui ha capito finora di questo sequestro: «Quel giorno, la ragazza è scappata con Al Shabaab. Loro (i terroristi) hanno spiegato (ai rapitori): per favore, fate questo lavoro, così poi noi vi paghiamo…».

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Un sequestro su commissione, per conto dei terroristi islamici. «Sì, perché loro controllano tutta questa zona. Io non vivo qui, ma conosco quest’area perché ci ho lavorato cinque anni. E qua sono tutti con Al Shabaab. Ieri noi abbiamo preso la moglie (Elima, la donna di uno dei tre ricercati, n.d.r.) e lei ha spiegato ai miei uomini il tipo di lavoro fatto da questi uomini che hanno preso la ragazza. Ha detto: il mio uomo mi aveva detto ‘fra due o tre giorni vengo a casa’, però poi lei ha cercato di chiamarlo al telefono e lui non rispondeva».

 

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Il racconto è un po’ confuso, ma il soldato Gabriel è sicuro e lo ripete - «la moglie ci ha detto che sono stati Al Shabaab» -, finché un suo superiore non lo vede parlare coi giornalisti e non lo chiama in disparte. A quel punto, una volta tornato, il tono è un po’ meno deciso: allora, la moglie ha detto proprio Al Shabaab? «Non lo so, in questo momento lei è alla stazione di polizia», dove la stanno interrogando.

 

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Le indagini restano vaghe. Si lavora molto sul terreno, ma poche novità emergono dal lavoro d’investigazione. E’ accertato che i quattro rapitori e il loro quinto complice volevano i soldi, pochi e subito. Una specie di riscatto-lampo, o se si vuole una rapina. Ma mentre Silvia urlava e piangeva disperata, chiedendo aiuto agli abitanti di Chakama, mentre questi tentavano di liberarla a colpi di panga e la banda invece sparava sulla gente, lì è nata la decisione di portarla via: «Volevano un riscatto lampo – racconta James, un ragazzo nigeriano che frequentava la onlus italiana Africa Milele -, ma Silvia non aveva soldi», perché erano stati caricati solo sull’account del suo cellulare.

I RAPITORI DI SILVIA ROMANO I RAPITORI DI SILVIA ROMANO

 

A quel punto, «qualcuno dei sequestratori voleva lasciarla libera, ma gli altri si sono rifiutati». Di qui, la scelta poi di dividersi: solo alcuni del gruppo iniziale si sono dati alla fuga con l’ostaggio, gli altri avrebbero preferito lasciar perdere. A Chakama, l’idea che siano stati gli Shabaab somali non convince. E nemmeno gli investigatori sembrano crederci, almeno nelle dichiarazioni ufficiali: «Se fossero stati estremisti islamici – spiega James -, avrebbero potuto fare una strage e uccidere chiunque. Bastava tirare buona bomba nella guest house di fronte», quella dove i sequestratori hanno dormito prima d’entrare in azione. «Quasi tutti gli abitanti del villaggio erano lì dentro».

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