Francesco Borgonovo per “la Verità”
Il 22 agosto del 2010, quando varcò per la prima volta i cancelli di Arcore, Chiara Danese aveva «diciott' anni, un mese e ventidue giorni», come calcolarono, su Repubblica, Piero Colaprico e Giuseppe D' Avanzo. Partecipò a una delle famigerate «cene eleganti». Anzi, prese parte alla cena che, forse, fu la più famigerata di tutte. Quella sera, infatti, apparve e girò fra i commensali (e soprattutto le commensali) la «statuetta di Priapo»: «È uno specie di guscio. Dal guscio esce un omino con un pene grosso. La statuetta ha dimensioni di una bottiglietta d' acqua da mezzo litro. Il pene è visibilmente sproporzionato». Fu proprio Chiara a raccontarlo ai giudici, qualche tempo dopo.
Il suo nome era già finito sui giornali assieme a quello di tante altre ragazze. Anche lei, una ragazzina o poco più, era stata confusa nel mucchio delle Olgettine. «Sono stata attaccata, presentata come una delle tante escort di Arcore. Ma la mia storia è completamente diversa Di articoli ne sono usciti talmente tanti», sospira oggi al telefono con la Verità.
Non è una lamentazione tardiva, la sua. Già nel 2011 spiegò perché avesse deciso di aprire bocca sulle vicende di Arcore: «Io non avevo alcuna intenzione di parlare», disse. «Mi sono sentita costretta dal clamore che ha assunto il caso e soprattutto dal fatto che nel mio paese, che è Gravellona, in provincia di Verbania, sono ingiustamente considerata una escort. È una denigrazione sulla bocca di tutti, sono continuamente infastidita da telefonate anonime».
Una Olgettina, una escort, una odalisca di Berlusconi.
Chiara Danese era entrata ad Arcore una sera di agosto ma sembra quasi che non ne sia mai uscita. Qualche ora a tavola vicino a Emilio Fede e compagnia sono bastate ad appiccicarle addosso il marchio d' infamia.
Quotidiani e televisioni infierivano, il popolo - specie tramite la Rete - dava il peggio di sé. In un' intervista del 2017, la Danese raccontò di aver ricevuto lettere minatorie, addirittura messaggi privati sul cellulare. Le dicevano cose del tipo: «Moglie di Berlusconi! Ti ha messo a pecora il nano, eh?».
« Su Internet poi mi scrivevano che qualcuno prima o poi me l' avrebbe fatta pagare e di guardarmi sempre le spalle. Erano tutti profili finti. Che poi sparivano da un giorno all' altro. Vivevo nel terrore, non uscivo di casa».
Una sera fu persino aggredita da un gruppo di ragazzi.
La abbordarono in un locale, la traumatizzarono: per loro era «una puttana che va con i vecchi».
Ora, vari anni dopo, Chiara Danese ha voluto raccontare in un libro la tormenta che l' ha travolta. Il volume si intitola Il veleno nella Rete (Goalbook edizioni) e la ragazza lo ha firmato assieme al giornalista Nicola Binda. La protagonista del racconto si chiama Ludovica e lavora come modella. Dopo l' incontro con un potente del calcio, finisce al centro di uno scandalo e viene sostanzialmente linciata nell' arena mediatica.
Che si tratti di autobiografia - anche se romanzata - è piuttosto evidente.
La narrazione di Chiara, tuttavia, è molto diversa dalle storie che questi mesi di Me too ci hanno abituato a sentire. Tanto per cominciare, sono anni che lei ripete la sua versione, sempre la stessa.
Inoltre, c' è una sostanziale differenza rispetto ai casi che hanno tenuto banco di recente. Quando esplose l' atroce balletto chiamato Bunga bunga, le ragazze coinvolte non furono affatto presentate come «vittime». Molte di loro, di sicuro, non lo erano.
Anzi, si rivelarono piuttosto astute e determinate a ottenere dal Cavaliere ciò che volevano. Maneggiavano il potere molto bene, e con soddisfazione.
Ma lo stesso discorso vale pure per numerose protagoniste del Me too. Anche loro hanno approfittato del «sistema Weinstein» o di analoghi giochini per ottenere successo, soldi e visibilità. Ma sui giornali sono state dipinte come agnellini minacciati dal lupo cattivo. Eccola, la differenza sostanziale: le donne del Me too sono vittime per definizione, e non possono essere descritte diversamente (pena l' accusa di sessismo e misoginia). Le Olgettine, al contrario, erano tutte puttane.
A dipingerle così erano, prima di tutti, i giornali progressisti. Gli stessi che - attualmente - si sbracciano in difesa delle donne maltrattate dal maschio-bianco-feroce-stupratore.
Uno degli articoli più pesanti lo firmò, nel gennaio 2011, Concita De Gregorio sull' Unità che allora dirigeva: «Osservo le ragazze che entrano ed escono dalla Questura, in questi giorni: portano borse firmate grandi come valigie, scarpe di Manolo Blanick, occhiali giganti che costano quanto un appartamento in affitto», scrisse.
«È per avere questo che passano le notti travestite da infermiere a fingere di fare iniezioni e farsele fare da un vecchio miliardario ossessionato dalla sua virilità». Concita parlò di «assenza di istruzione, di cultura, di consapevolezza, di dignità». Scorgeva nelle Olgettine i segni della fine dei tempi: «Il vuoto, il volo in caduta libera verso il medioevo catodico, infine l' Italia ridotta a un bordello».
La De Gregorio non era certo l' unica a pensarla così.
La gran parte dell' universo «femminista» condivideva la sue opinioni (come denunciò Valeria Ottonelli nel pamphlet La libertà delle donne. Contro il femminismo moralista). Lidia Ravera scrisse di «bellocce senza altri interessi che lucrare sulla loro bellezza»; Franca Rame rideva delle «sgarzoline dell' ultima covata».
Di articoli del genere, Chiara Danese ne ricorda tanti, e li ricorda bene. Specie quelli a firma femminile: «Purtroppo le donne non sono affatto solidali tra loro», ci dice. «Nessuna di queste donne si è fatta scrupolo di scrivere articoli su una ragazza di 18 anni che nemmeno conosceva. Non sapevano niente di me, di Chiara Andrea Danese. Poiché avevo fatto un concorso di bellezza, allora dovevo essere per forza vuota e poco intelligente. Hanno scritto cose piene di pregiudizi. Mi hanno descritto come una ragazza facile, anche se poi anche le intercettazioni mi davano ragione».
Le Olgettine sono state usate per massacrare il nemico politico, e a nessuno è importato che siano state falciate nella carneficina anche tante ragazze. La Danese ci ha provato, a tirare dritto. Ha partecipato a Miss Italia nel 2012, come miss Val d' Aosta.
Ma i giurati e il pubblico non vedevano lei: vedevano solo «quella del bunga bunga», una Olgettina qualsiasi. Le ragazze che passavano ad Arcore erano le «vergini sacrificate al Drago». Quelle che hanno sfiorato Weinstein o altri (anche italiani) sono povere stelline da coccolare.
Ambra Battilana, che era assieme alla Danese alla cena del 2010, si è fatta intervistare da Asia Argento, nel calderone del Me too ci si è immersa a fondo. Chiara, invece, quando le nominiamo il Me too si accende. «Mi dissocio completamente da movimenti di questo tipo», dice.
AMBRA BATTILANA E CHIARA DANESE
«Credo che siano rappresentati da persone che non meritano il ruolo di guide. Persone che fanno del vittimismo ma sono state le prime a fare un certo tipo di scelte di vita per fare carriera e ottenere visibilità. Ripeto: mi dissocio completamente. Se queste persone hanno subito violenza, per carità, fanno bene a raccontarlo. Ma mi sembra che stiano facendo una strumentalizzazione che fa perdere di importanza alla battaglia per i diritti delle donne».
Due pesi e due misure, si dice sempre. E Il peso smisurato Chiara se lo porta ancora addosso: «Quando sui giornali attaccavano me, che avevo diciotto anni ed ero ingenua, quello andava bene», dice. «Io ero una escort che meritava insulti e attacchi, ora invece le donne che parlano sono tutte vittime. Quelle come me vengono dimenticate perché non possono andare in televisione a parlare».
Anche Chiara, inizialmente, si è avvicinata ad Asia Argento, si è fatta fotografare con lei nel 2017. «L' ho incontrata, ma evidentemente volevamo due cose diverse...
CHIARA DANESE IN AULA AL PROCESSO SULLE NOTTI PAZZE DI ARCORE
Tante belle parole, ma poi lei ha preso un' altra strada», racconta. Non scende troppo nei dettagli, ma la delusione trapela.
«Quando dico che mi dissocio dal Me too è proprio perché io voglio essere rappresentata e rappresentare donne che, come me, hanno subito le pene dell' inferno. Voglio parlare di queste persone. Non aderisco a movimenti creati solo per farsi pubblicità. Io sono diversa».
CHIARA DANESE CON IL SUO AVV cd dc f a da c c d aa c CHIARA DANESE E AMBRA BATTILANA PARTI CIVILI PER CHIEDERE DANNI AI TRE IMPUTATI chiara danese ambra medium