Costanza Cavalli per “Libero quotidiano”
Gli occhi e le orecchie di una persona normale non reggono oltre venti secondi un video che riprende una mutilazione genitale: una bambina di colore, avrà sei o sette anni, nuda. Immobilizzata a terra da sei mani, su un terreno che è sabbia e sabbia, la sua ribellione imbrigliata da tre persone adulte, vestite con i kanga, i fazzoletti colorati, all' africana. Sono tutti uomini. Ne arriva un quarto, si inginocchia, si avvicina con un grosso ago da cucito ai genitali. La bimba è così spaventata che non riesce nemmeno a piangere, emette letteralmente latrati. Clic, basta così. Non si può continuare, ci vuole un pervertito per arrivare fino in fondo (il video dura un minuto e quaranta, si trova online, su Vimeo.com, titolo "Infibulation d' une fillette").
Sono 200 milioni nel mondo le vittime di mutilazioni genitali femminili, 3 milioni le bambine sotto i quindici anni a rischio infibulazione ogni anno. La pratica è comune in 30 nazioni africane (in Egitto, Somalia e Sudan viene effettuata su oltre l' ottanta per cento delle donne), in alcune aree dell' Asia e dell' America latina. Il 90% delle donne vittime di questa disumana violenza vive nell' Africa subsahariana, ma il restante 10% risiede in Europa. In Gran Bretagna il febbraio scorso è stata condannata la prima donna colpevole di aver commesso infibulazione sulla figlia di tre anni.
Per difendersi, la madre aveva dichiarato che la bambina era caduta «su un taglierino da una scala e si era recisa le parti intime». In Italia si stima che 80mila donne abbiano subito l' operazione, al ritmo di 5mila nuove bambine l' anno. La legge che l' ha dichiarata reato compirà quattordici anni il prossimo 9 gennaio: è la numero 7 del 2006, prescrive l' aggiunta nel codice penale dell' articolo 583-bis, che punisce con la reclusione da 4 a 12 anni chi cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili. Ma, come era spiegato ieri sul quotidiano La Stampa, fin ora è stata inutile: erano previste campagne informative e iniziative per l' integrazione. Non sono mai partite.
pratica tribale
Le «forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche», come da definizione dell' Oms, racchiudono tre varianti, diverse per gravità: il primo tipo è la rimozione del prepuzio del clitoride; nel secondo si aggiunge il taglio delle piccole labbra; l' ultimo consiste nell' eliminazione completa delle piccole labbra e nella cucitura delle grandi labbra, con chiusura quasi completa della vulva, tranne che per un piccolo foro, lasciato per far passare l' urina e il sangue mestruale. «Era in gravidanza avanzata, aspettava due gemelli», aveva raccontato di sua sorella Bogaletch Gebre, la più grande attivista etiope contro le mutilazioni genitali femminili, morta a 66 anni un mese fa. «Ha cominciato a perdere sangue e non hanno potuto farle partorire i bambini, perché a causa delle cicatrici l' apertura era troppo stretta».
La donna morì. È una pratica primitiva e tribale, precedente alle tre religioni semitiche, che intende esporre l' illibatezza e la serietà della donna, e ridurre drasticamente le "tempeste ormonali" femminili: i rapporti sessuali sono infatti impossibili fino alla defibulazione, ovvero la scucitura della vulva, che viene effettuata dallo sposo prima della consumazione del matrimonio.
inafferrabile
Nonostante l' esistenza questa pratica sia di dominio pubblico ormai dagli anni Novanta, non riusciamo a debellarla, e allo stesso tempo ci risulta sempre ugualmente insopportabile.
È inafferrabile perché si diffonde sottotraccia: oltre a non rispondere a una questione religiosa, non è neanche legata a un concetto qualsiasi di civiltà e non è sanabile con l' integrazione, parola che finora non ha potuto nulla sui costumi nei Paesi d' origine (in Italia è accaduto a 80mila donne, ripetiamo). L' infibulazione è uno dei veri confini insormontabili dell' integrazione come la si sbandiera, è un fossato profondissimo tra le popolazioni che lo praticano e l' Occidente.
Non è un indice culturale, è piuttosto una perversione della tradizione, proprio perché da chi la pratica è giudicata positiva e lodevole. Per noi, equivale al sacrificio umano, o al cannibalismo: noi non sacrifichiamo l' uomo a Dio e i cannibali ci fanno invariabilmente orrore. È una follia che risiede al di là anche del concetto "genetico" di umanità, è una negazione estrema della razionalità e al corso naturale della vita.
La mutilazione genitale femminile è meno propria dell' essere umano perfino dell' omicidio, che perlomeno tutti temono e nessuno considera una bella cosa, ma che possiamo individuare, analizzare, punire e combattere. Ed è peggio che animalesca: gli animali come gesto di resa offrono all' avversario vincente le proprie parti intime, e in quel momento lo scontro si arresta. Questi "umani", invece, fanno una carneficina con le parti intime dei congiunti, provocando un disastro di sofferenze, dalle conseguenze inenarrabili e senza una fine. Tanto che anche a noi, guardando dalla scrivania quel video, si è svegliato un istinto di protezione, di stringere le gambe e incurvarci, difenderci il ventre. È meglio essere cani.
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