Francesco Malfetano per ilmessaggero.it
Avere dei dati da zona gialla anti Covid non basta per lasciare la zona arancione. Non dopo il Dpcm del 16 gennaio. O almeno non per il Lazio.
La regione infatti, dopo le valutazioni sui dati del monitoraggio settimanale da parte della Cabina di regia del ministero della Salute di oggi e salvo ulteriori sorprese, resterà nella fascia intermedia di rischio pur avendo, come garantiscono dalla Regione, «tutti i dati entro le soglie stabilite ormai da settimane».
Non a caso quando ieri mattina tra i tecnici e gli esperti che lavorano al monitoraggio regionale comincia a circolare la voce che il cambio di scenario - dato praticamente per certo fino a quel momento - non sarebbe arrivato, a farla da padrone sono sorpresa e indignazione. «Non se ne capisce il motivo» spiegano. Qualcuno allude ad una «decisione politica» presa per non indispettire la Lombardia (che dal 23 gennaio è in zona arancione a seguito della rivalutazione dettata da numerosi errori nei dati e potrebbe diventare gialla dal 7 febbraio), qualcun altro invece parla «dell’interpretazione di un cavillo» del testo governativo.
Ma andiamo con ordine. I fatti sono che in tutto il Paese, salvo pochissime eccezioni, l’andamento generale dell’epidemia è in netto miglioramento. Questo però non vuol dire che tutte le Regioni possano ambire a minori limitazioni a partire da domenica, cioè da quando entrerà in vigore l’ordinanza con cui il ministro della Salute Roberto Speranza darà attuazione alle indicazioni che la Cabina di regia comunicherà oggi dopo aver analizzato i numeri raccolti tra il 18 e il 24 gennaio.
Anzi, a cambiare colore sembra che saranno in poche, probabilmente solo due: Sicilia, da rosso ad arancione, e Veneto, da arancione a giallo. Le altre? Bloccate nelle rispettive fasce di rischio.
Pur avendo dati da zona gialla e pur essendo formalmente già rimaste in zona arancione per due settimane (l’ordinanza del ministro della Salute è stata siglata il 16 gennaio), ben nove Regioni - Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Valle d’Aosta e Umbria - ormai con grande probabilità non cambieranno colore prima del 7 febbraio.
A spiegare il motivo, e quel cavillo tanto dibattuto alla Regione Lazio dopo la doccia fredda di ieri mattina, è il ministero della Salute.
Fonti qualificate infatti, nel tentativo di far chiarezza su cosa potrebbe accadere oggi, richiamano l’articolo 2 comma 3 del Dpcm in vigore – quello del 16 gennaio – e spiegano che «le due settimane necessarie ad un territorio per conquistare la fascia inferiore di rischio scattano dal momento in cui, numeri alla mano, viene stabilito che i parametri corrispondono a quelli della fascia con restrizioni più blande».
Per cui, ad esempio, nonostante l’indice Rt del Lazio sia calato dall’1.1 del 15 gennaio, allo 0,98 del 22 fino all’attuale 0,73, la Regione – salvo ulteriori valutazioni dell’ultimo minuto – resterà in zona arancione. Il motivo? La Cabina di regia ha acquisito le valutazioni sui dati solo a partire dal 22 gennaio e quindi non tiene conto della prima settimana “di calo” dei dati.
Per questo quindi, il Lazio come una buona fetta delle 8 Regioni sorelle (soprattutto Liguria e Piemonte, i cui governatori ieri pure si sono detti «fiduciosi» per il cambio di fascia), dovrà attendere la valutazione di venerdì 5 febbraio, restando in zona arancione un’altra settimana. Uno stop che «dovrebbero spiegare ai ristoratori e a chi gestisce i bar» tuonano dalla Regione Lazio «Per loro è un disastro». A differenza di quanto fatto in passato (vedi la questione discoteche in Sardegna questa estate) la decisione non tiene palesemente conto delle necessità delle categorie professionali e finisce quindi, ancora una volta, per penalizzarle.
giuseppe conte roberto speranza
In ogni caso per la certezza bisognerà attendere la valutazione odierna. Intanto però oltre al Veneto (secondo Luca Zaia l’Rt è ormai stabile a 0,62) e alla Sicilia (che si era auto-imposta due settimane di zona rossa) sperano anche Abruzzo, Calabria e Emilia Romagna.
Queste infatti sono in arancione dall’8 gennaio. Nulla dovrebbe cambiare invece per Val d’Aosta, Marche, Puglia e Friuli Venezia Giulia, Umbria (tra le più in difficoltà negli ultimi giorni) e neppure per la Sardegna che ha già annunciato, in caso di permanenza in arancione, un ricorso al Tar per un calcolo errato dell’indice R0. Da valutare infine, la situazione della Provincia autonoma di Bolzano che, in zona rossa, dopo un calo significativo degli indicatori, ha dovuto fare i conti con un’impennata dei nuovi positivi.
ZONA GIALLA, PERCHÉ NON IL LAZIO?
Francesco Pacifico per ilmessaggero.it
Negli uffici della Regione Lazio il sospetto, ora dopo ora, diventa prima presentimento, poi certezza. «Vuoi vedere che ci lasciano in zona arancione per bilanciare la decisione verso la Lombardia? Vuoi vedere che all'interno del governo si rende necessaria una lettura più restrittiva dei criteri nella scelta del colore, che finirà per colpire i territori più virtuosi, anche per venire incontro a quelle dove il Covid circola di più?».
alessio d'amato nicola zingaretti
E la mente corre allo scorso marzo, quando, indipendentemente dal numero dei casi, tutto il Paese fu messo in lockdown. Con il Lazio che rischia di restare in fascia arancione, con l'indice RT, quello sulla velocità di trasmissione del virus, sceso a 0,73 e il numero dei ricoveri, dei posti letto in terapia intensiva e l'incidenza dei malati sulla popolazione in calo. Per la cronaca, in Lombardia, la percentuale dei positivi sui tamponi effettuati è del 6,2 per cento, nel Lazio è al 4.
LA DECISIONE
Sospetti o certezze che siano, sul Lazio è piovuto un macigno: oggi la Cabina di regia guidata da ministero della Salute e dall'Istituto superiore di Sanità, dopo il parere non vincolante del Comitato tecnico scientifico, avrebbe dovuto sancire il ritorno del Lazio in zona gialla.
nicola zingaretti alessio d'amato
Invece, ieri mattina, tecnici del dicastero guidato da Roberto Speranza hanno chiamato alla Pisana, per avvertire che la promozione in giallo era incerta e salivano le probabilità che la Regione restasse in zona arancione. Con le restrizioni che rendono impossibile consumare un pasto seduti al ristorante, entrare in un bar per un caffè o fare attività sportiva in palestra. Una doccia fredda.
Anche l'assessore regionale alla Sanità, Alessio D'Amato, aspetta la decisione. Lui, si sa, è da sempre un fautore della linea dura nella lotta al Covid, non si offende se gli si dà del talebano. Ma ieri non nascondeva sorpresa per come è stata gestita la vicenda. E ammetteva la doccia fredda. «Che cosa sta succedendo? Non dovete chiederlo a me, ma al governo - faceva sapere - Noi in questa vicenda siamo il valutato, non il valutatore e ci rimettiamo alle decisioni».
nicola zingaretti alessio d'amato 2
Decisione politica? «Il modello condiviso - continua l'assessore - funziona con il ministero e Istituto superiore di sanità che esaminano e valutano i dati sui 21 indicatori che noi inviamo. Poi decidono e ce lo comunicano documenti alla mano. Ma in questa scelta c'è un margine di discrezionalità politica, che, ripeto, deve essere suffragato dai dati. Non escludo neppure che ci sia un tema di tempistica, cioè da quando vanno calcolati i 14 giorni in cui vigono le restrizioni della zona arancione». Appunto gli ultimi 14 giorni. «In questo lasso di tempo - sciorina D'Amato - l'indice Rt è passato da poco sopra uno a 0.73. Una settimana fa era a 0.98.
Ma anche gli altri indicatori sono nella soglia di sicurezza: i posti in terapia intensiva, quelli occupati in generale nella rete ospedaliera Covid e abbiamo avuto anche un calo dell'incidenza dei positivi ogni 100mila abitanti e una riduzione dei focolai. Ma se mi chiedete com'è la situazione, vi dico che il Lazio, negli ultimi 14 giorni si si è indirizzato verso uno scenario in area moderata. E questo non vuol dire un liberi tutti».
Come detto, ieri sull'asse ministero della Salute Regione Lazio, il tema è stato all'attenzione dei tecnici come dei politici. Dal dicastero giurano che una decisione definitiva non è stata presa, ma che dietro tanta incertezza c'è la disamina dei trend sanitari secondo i 21 indicatori scelti dalle parti. Stando all'ultimo Dpcm, i criteri devono registrare, anche se non tutti assieme, un calo costante verso la soglia di guardia per i 14 giorni della permanenza in zona arancione.
Poi bisogna capire quando si calcola il periodo: l'ultima ordinanza firmata dal ministro Speranza vale dal 17 al 31 gennaio, ma l'avvio del monitoraggio dovrebbe partire dal 15, quando il ministro ha firmato l'atto. E questo crea il primo disallineamento. Poi sul piatto ci sono altre questioni: dal governo spiegavano l'allerta perché, seppure il numero dei casi scende, la percentuale dei positivi sul totale dei tamponi non si schioda dal 5,2 per cento. Da qui la voglia di cautela, di non escludere un allungamento delle restrizioni per chi è border line come il Lazio, anche per non creare ulteriori frizioni con la Lombardia dopo le polemiche sul calcolo sbagliato del Rt che ha lasciato la regione in zona rossa.
LE PROTESTE
Intanto monta la rabbia tra i ristoratori del Lazio, con Confcommercio che ipotizza una perdita di 50 milioni, con un'altra settimana in arancione. «E hanno ragione, li capisco - conclude D'Amato - noi abbiamo lavorato per mettere in condizioni questo comporto di ripartire almeno a pranzo. Ma il problema non è il modello di valutazione scelto, quando la temporalità delle decisioni: si prendono poche ore prima della loro applicazione, non dando tempo alle categorie di organizzarsi».