Annamaria Lazzari per “il Giorno”
Addio all’obbligo per il marito separato o divorziato di versare gli alimenti nel caso in cui la ex acceda al reddito di cittadinanza? L’ipotesi è lanciata dall’avvocato Lorenzo Puglisi, presidente e fondatore dell’associazione Familylegal: «Qualora il reddito del nucleo familiare della donna separata o divorziata sia inferiore a 9.360 euro (e in presenza degli altri requisiti per accedere al beneficio), la stessa potrebbe potenzialmente avere accesso al reddito di cittadinanza, sollevando di fatto l’ex coniuge dall’onere di fornire un assegno di sussistenza».
Da aprile, a suo giudizio, ci sarà un assalto ai tribunali: «Nel momento in cui entrerà in vigore il sussidio ci aspettiamo una pioggia di ricorsi per la modifica delle condizioni di divorzio o separazione, nei casi in cui i giudici hanno previsto un assegno di mantenimento a favore dell’ex coniuge sulla base dell’assenza di reddito». In Italia sarebbero circa 400mila mariti che potrebbero mettere in discussione il proprio onere di mantenimento. A Milano, al 1 gennaio 2018, risultano 44.755 donne separate/divorziate anche se non tutte sono nelle condizioni di accedere al sussidio di stato.
Cosa succederà concretamente? «Non si tratterà di un automatismo. Ma un giudice non potrà non tenere in conto. Il reddito di cittadinanza va a minare la certezza di ottenere l’assegno di mantenimento, posto che il presupposto per ottenere il mensile dall’ex coniuge è proprio la mancanza di risorse adeguate al proprio sostentamento» ragiona l’avvocato Puglisi secondo cui «si dovrà comunque valutare caso per caso». E che ne pensa di questo scenario Annamaria Bernardini De Pace, l’avvocato matrimonialista più celebre d’Italia?
«È l’ennesimo atteggiamento misogino per cui le donne non meritano un riconoscimento dal marito ma l’assegno dei poveri» dice tranchant. Ci sarà una pioggia di ricorsi? «Non credo. Primo perché i giudici conoscono la legge più di tanti che si spacciano come loro interpreti prima ancora che abbiano deciso» spiega Bernardini De Pace. C’è dell’altro, sui magistrati: «Non credo che apprezzino la possibilità di rimettersi a una legge con meccanismi maliziosi e approfittatori».
Tradotto: «Il reddito di cittadinanza lo paghiamo noi cittadini. Perché dobbiamo essere noi a sborsare i soldi invece del marito che non si è assunto la sua responsabilità? Lo sfruttamento del denaro pubblico, in luogo delle responsabilità private, si colloca su un livello morale bassissimo». E ancora: «Se fossi marito preferirei avere l’onore di mantenere la madre di mio figlio. Raccontare un domani a quest’ultimo che il padre se ne è lavato le mani, perché c’era il reddito destinato ai poveri, non è bellissimo»