Riceviamo e pubblichiamo:
Caro Dago, sono un medico a lavoro in un ospedale del Sud e ti scrivo per condividere alcune riflessioni. Credo che la sensazione delle persone sulla questione infezione sia “dispercettiva” e dunque non corretta. Soprattutto perche' ho l’impressione che gli operatori dell’informazione, i giornali, i tg, mostrino solo una parte della faccenda.
La reale situazione degli ospedali è drammatica. I colleghi del nord mi raccontano di condizioni di lavoro e organizzative al limite del collasso. I cittadini si comportano in modo schizofrenico oscillando tra poli opposti di ragionevolezza: o sono nel panico e assaltano i supermercati, o viaggiano ammassati sui bus senza le minime misure di prevenzione. Ed è questa seconda condizione che apre le porte ai contagi.
Qui siamo a corto di risorse. Nella nostra struttura stiamo decidendo quali reparti devono avere in dotazione le mascherine e quali no, per risparmiare. Mi è capitato di andare in Pronto Soccorso, chiamato per una consulenza, e non era disponibile una mascherina per me. Il triage dei pazienti che tossiscono febbricitanti è lo stesso di quello dei pazienti con altra sintomatologia.
Credo sia importante che i media facciano capire ai cittadini, senza allarmismo fuori misura, che l’epidemia si controlla e si supera con comportamenti responsabili. E questo vuol dire fare rinunce, fare sacrifici. Vuol dire adattarsi a una situazione che nessuno ha scelto ma tutti subiscono. Ci tengo a precisare, caro Dago, che una diffusione del coronavirus in una regione del Sud, nelle stesse identiche dimensioni di quanto sta avvenendo in Lombardia, provocherebbe il triplo dei danni. Il numero dei posti disponibili in rianimazione è di molto inferiore a quelli lombardi, con una qualità di assistenza probabilmente neanche paragonabile.
Un medico preoccupato