1 - MESSICO UN OMICIDIO OGNI 16 MINUTI
Lucia Capuzzi per “Avvenire”
Sedici minuti e nove secondi. Si è accorciato ancora l' intervallo tra un omicidio e l' altro in Messico: fino a settembre era di venti minuti. Mai - da quando le autorità hanno iniziato a rilevarli, nel 1997 - ci sono stati così tanti omicidi come quest' anno. E il 2017 non è ancora terminato. Al 31 del mese scorso erano già 23.968. Di cui 2.764 solo ad ottobre: una media di 89 morti ammazzati al giorno. Dopo un decennio di guerra contro il narcotraffico - e di relativa retorica da parte dei due governi che l' hanno gestita -, il Messico sembra aver perso tale conflitto. Non è solo questione di numeri. Interi pezzi di nazione sono sottratti alla legge della Repubblica.
E soggetti alle regole dei narcos. Nella zona di Montaña Baja del Guerrero, il crimine organizzato ha chiuso le scuole, lasciando senza classi 63mile ragazzi. Le comunità rurali del Sinaloa sono da mesi prive di assistenza sanitaria: i medici hanno troppa paura per andarci. Dal 2006, sono già 43 i sacerdoti assassinati.
Nei cinque anni dell' attuale amministrazione, è stato ucciso un prete ogni due mesi. Segno eloquente - nel Paese con il più alto tasso di cattolici questo interrogativo ruota il presente e il futuro del Messico. Valdés Castellanos - come buona parte degli analisti - punta il dito sulla «fragilità delle istituzioni».
Dieci anni fa, all' inizio del 2007, quando l'allora presidente Felipe Calderón, del Partito di azione nazionale (Pan), schierò l'esercito contro le mafie del narcotraffico - i cosiddetti cartelli -, sette potenti organizzazioni si disputavano il corridoio di passaggio della cocaina sudamericana verso il Nord del mondo. Queste erano cresciute nei 71 anni ininterrotti (1929-2000) di potere del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri).
MESSICO - POLIZIOTTI TORTURATI E DECAPITATI
La strategia di Calderón - secondo molti motivata dall' ansia di legittimare un' elezione sofferta - ha puntato sulla decapitazione, "manu militari" dei vertici criminali. Il fenomeno ha finito per accelerare la frammentazione delle bande. L' amministrazione successiva - che ha segnato il ritorno del Pri al governo con Enrique Peña Nieto - ha avuto una politica "cosmetica".
MESSICO - POLIZIOTTI TORTURATI E DECAPITATI
In pratica, si è limitata - e si limita - a minimizzare la violenza e la risposta militare dello Stato. Non sono state fatte riforme per rafforzare le istituzioni. Il dramma attuale, dunque, è frutto del mix esplosivo di fragilità statale e polverizzazione dei cartelli. «Dei sette vecchi gruppi, cinque si sono atomizzati in 300 bande di dimensioni locali o regionali. Il business degli stupefacenti richiede un livello di organizzazione che queste non hanno.
MESSICO - POLIZIOTTI TORTURATI E DECAPITATI
Ben 295 sono, così, dovute entrare in altri mercati illegali più "facili", dal traffico di migranti, alla prostituzione estorsioni. Delitti che hanno un forte impatto sulla società. Le istituzioni, sempre più deboli, non riescono a farvi fronte», sottolinea l' esperto. A ciò si somma il conflitto in corso nelle regioni del Pacifico tra i due cartelli "superstiti": Sinaloa e Jalisco Nueva Generación. Questo è deciso ad approfittare del vuoto aperto nel rivale dall'estradizione negli Stati Uniti - il 19 gennaio scorso - del boss Joaquín El Chapo Guzmán. In gioco c' è, in particolare, il redditizio business delle coltivazioni di papaveri da oppio e relativo traffico di eroina.
MESSICO - POLIZIOTTI TORTURATI E DECAPITATI
La sostanza dilaga negli Usa, con un record di 12.898 vittime di overdose in cinque anni. Tanto che l'Amministrazione Trump ha dichiarato l'emergenza nazionale. Eppure, al di là della retorica del muro anti-trafficanti, Washington stenta a trovare una strategia adeguata di cooperazione con il vicino per contrastare il crimine organizzato.
«Dovrebbero invertire le loro priorità. Gli Stati Uniti destinano il 65 per cento delle risorse alla "guerra della droga". E il 35 per cento alla riduzione della domanda attraverso la prevenzione. Dovrebbero fare il contrario - conclude Valdeés Castellanos -. E dovrebbero imporre un giro di vite alla vendita di armi e al riciclaggio di denaro». I proventi della droga vengono, infatti, investiti nel Nord del Continente e del mondo. Ecco perché la «narcoguerra messicana» è, in realtà, un conflitto globale. Una tessera di quella Terza guerra mondiale a pezzi di cui tante volte ha parlato papa Francesco.
2 - A COAHUILA IL REGNO FEROCE DEI LOS ZETAS
MESSICO - POLIZIOTTI TORTURATI E DECAPITATI
Nicola Nicoletti per “Avvenire”
Hanno massacrato villaggi interi. I corpi sono stati straziati e dati alle fiamme. O sepolti in centinaia e centianaia di fosse comuni. Il "regno" dei Los Zetas in Coahuila, tra il 2007 e il 2013, è stata un' era di ferocia inaudita. I narcos hanno letteralmente conquistato la regione, imponendovi la loro legge brutale. Nel loro libro paga, c'erano poliziotti, sindaci e funzionari pubblici.
Perfino un carcere - la prigione di Piedras Negras - era sotto il loro controllo. Prima regola: il silenzio. Tra i pochi a sfidarla, il Centro diocesano per i diritti umani Fray Juan de Larios di Saltillo, con le sue denunce periodiche.
Solo ora, quando ormai Los Zetas sono atomizzate in una miriade di bande rivali, la verità comincia a emergere in tutta la sua tragicità. Un recente rapporto dell' Università del Texas, realizzato in collaborazione con il Fray Juan de Larios, ha ricostruito nel dettaglio quegli anni cruenti a partire dalle deposizioni degli ex esponenti de Los Zetas, raccolte durante i tre processi contro l' organizzazione celebrati nei tribunali Usa di Austin, San Antonio e Del Río. La diffusione del rapporto ha mandato su tutte le furie l' attuale amministrazione locale del Coahuila.
MESSICO - POLIZIOTTI TORTURATI E DECAPITATI
Quest' ultimo ha accusato il Centro e il suo fondatore, il vescovo Raúl Vera López, di mettere in «cattiva luce» lo Stato. Tanto più che don Raúl ha appena presentato un' istanza alla Corte penale internazionale per denunciare l' inerzia delle istiuzioni di fronte al dramma dei desaparecidos e nella ricerca delle fosse comuni. In realtà, il Centro collabora dal 2012 con il governo del Coahuila attraverso il laboratorio Gat (Grupo autonomo de trabajo), gruppo autonomo di lavoro creato dal governatore Rubén Moreira per contribuire alla difesa dei diritti umani.
Ma la denuncia ha scatenato un clima di diffidenza che Blanca Isabel Martínez Bustos, portavoce del Centro, cerca di stemperare. «Non è nostro interesse attaccare nessuno, ci interessa generare processi di verità e dare vita ad azioni di giustizia», chiarisce la portavoce.
A preoccupare il Fray de Larios è l' incubo dei desaparecidos: oltre 33mila in tutto il Messico, solo secondo i dati ufficiali. Nel Coahuila sono registrati 1.800 casi. Ben 1.700 denunce sono state presentate. Di queste, però, solo cinque sono al momento sotto esame. La denuncia rivela l' incapacità nell' ottenere verità e giustizia per le persone sparite.
Delle 1700 cartelle di procedimenti da compiere, sinora ci sono solo 5 processi iniziati. La segnalazione rimanda a una carenza di strumenti per poter lavorare: dalla luce elettrica alla benzina, dal collegamento a internet a una coordinazione che porterebbe a migliori risultati nello sviluppo delle indagini.
Senza una base di dati per far fronte alle innumerevoli domande dei cittadini, si apre lo scenario di una investigazione da parte di strutture internazionali, afferma Blanca Martinez. Una maggior tutela per gli operatori dei diritti umani e dei giornalisti è stata auspicata da Michael Frost, relatore speciale Onu per i difensori dei Diritti umani.