IL MITO DEI GLADIATORI NON MUORE MAI - AL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI, UNA MOSTRA CON 160 REPERTI STRAORDINARI (VASI, ELMI, MOSAICI, SCULTURE), FA RIVIVERE L'EPOPEA DEI COMBATTENTI DELL'ANTICA ROMA - VENIVANO ALLENATI IN PALESTRA, CURATI, NUTRITI CON ZUPPE DI CEREALI, MIGLIO, ORZO, GRANO - IL MANAGER CHE LI ACQUISTAVA, ORGANIZZAVA I GIOCHI, PER FAR FRUTTARE “L’INVESTIMENTO” - LE GLADIATRICI, PRIGIONIERE O SCHIAVE, SI BATTEVANO CON ELMO E SENO NUDO

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Fiorella Minervino per “Tuttolibri - la Stampa”

 

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Spettacolare e scenografica, la mostra Gladiatori introduce al passato con uno speciale sforzo di chiarezza: ampie scritte, stendardi disegnati, modellini, ricostruzioni, dipinti, una buona sezione digitale e la vasta zona di «Gladiatorimania» non solo per bambini e ragazzi. Tornano alla luce la realtà e l'umanità dei duellanti nelle arene, che dall'antica Roma hanno alimentato le fantasie cinematografiche dei Peplum, i Colossal girati a Cinecittà negli Anni 50 fino al più recente film di Ridley Scott con Russell Crowe e numerose serie Tv.

 

Miti intramontabili, idoli di folle, amati dalle donne, talora leader di ribellioni celebri, non erano obbligatoriamente votati a morire, bensì a esibire coraggio, antagonismo, tenacia nel rialzarsi. Lo raccontano i 160 importanti reperti ospitati in sei isole tematiche nel Salone La Meridiana al primo piano del MANN. Nell'atrio ad accogliere i visitatori è subito il monumentale rilievo dalla Necropoli Marittima a Pompei Scene di spettacoli gladiatori e cacce (proviene dalla tomba d'un magistrato nel regno di Claudio, appartiene al MANN).

 

«Anticipa e in pratica riassume la mostra - spiega il direttore del Museo, Paolo Giulierini - perché è il diario inciso nel marmo d'una tipica giornata di giochi (munera), finanziata dall'editor, simile al nostro presidente di squadra di calcio». Diviso in tre fasce di diversa ampiezza, la prima presenta i personaggi della sfilata d'ingresso all'arena, la seconda, la maggiore per dimensioni e qualità scultorea, i combattenti che si scontrano nell'arena, in genere dal pomeriggio in poi.

 

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Nella terza fascia sono rappresentate le Venationes, le cacce, si riconoscono tori, cinghiali e cani, e bestie feroci come l'orso. «Il munus gladiatorio - continua Giulierini - serviva anche all'Imperatore per dialogare con il popolo e ottenere il consenso diretto. Il pubblico riproduceva la società romana: dai cittadini di pochi mezzi ai senatori fino alla corte imperiale». Erano molto richieste le etnie differenti per prigionieri di guerra, schiavi, uomini sottratti alle famiglie e alle loro terre, come del resto per le gladiatrici, prigioniere o schiave che si battevano con elmo e seno nudo.

 

Quelle di area germanica, già aduse alla lotta in patria, erano fra le migliori. Non mancavano alcune libere, figlie e mogli di cittadini che si accordavano con l'editor senza remunerazione in cambio di preparazione, strenui allenamenti per dimostrare a Roma l'audacia e il loro valore nelle armi. Tacito negli Annales ne è indignato e parla di degradazione, Tiberio le proibisce.

 

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Nerone le apprezza al punto da organizzare sfarzosi munera con dame e senatori; secondo Cassio Dione nel 66 d.C. avrebbe voluto che si scontrassero uomini, donne e bambini etiopi. Nel Salone della Meridiana, l'isola «Dal funerale degli eroi al duello per i defunti» narra le origini dei munera, i riti funerari e i combattimenti in onore dei morti. L'inizio mitico è ricordato dallo straordinario Cratere a mascheroni apulo a figure rosse (il «vaso di Patroclo») che proviene da Canosa, 340-320 a.C., e appartiene al MANN: venne ritrovato in un gruppo funerario principesco. Sul lato principale del vaso è rappresentato il trofeo delle armi dei prigionieri troiani, sgozzati da Achille sulla pira funebre di Patroclo, mentre Agamennone compie la libagione rituale alla presenza d'una figura femminile, forse Clitennestra. Il soggetto è sviluppato in chiave politica antipersiana, assimilando appunto i Troiani ai Persiani.

 

Nel registro superiore, sotto una tenda, ci sono Fenice e Nestore, attorniati da eroi e divinità (Atena, Ermes e Pan). Nella parte inferiore Automedonte trascina il corpo di Ettore attaccato a una quadriga, mentre un gruppo di donne predispone il lavacro del corpo. Sul collo compaiono Edipo e la Sfinge alla presenza d'una Furia. Dal funerale omerico degli eroi si è approdati ai duelli ellenistici per i defunti e da questi ai giochi gladiatorii. Dapprima i combattenti si chiamano Sanniti e Galli, in seguito i loro nomi discendono dalle tecniche o dalle regole stabilite dello scontro: il Retarius è armato di rete, il Secutor è l'inseguitore, l'Optomachus combatte con lo scudo.

 

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Mentre Roma conquista terre e potere, i prigionieri diventano macchine da guerra e profitto. La leggenda dell'eroe con gladio diventa così popolare da scavalcare i secoli e sedurre anche gli artisti dell'800 e del '900 come Giorgio de Chirico di cui è in mostra un dipinto del 1931, Gladiatori e arbitro III. Un mito tuttora così diffuso al punto di affollare Lego, i fumetti, nonché innumerevoli videogiochi.

 

Affascina il Rilievo con scena di combattimento di gladiatori, fine I secolo a.C., in prestito dal Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano: fu ripescato nel Tevere, decorava un monumento funerario lungo la via Ostiense. In pratica traccia l'evoluzione storica dei giochi, testimonia i combattimenti prima della riforma voluta da Augusto.

 

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«In realtà - aggiunge Giulierini - come si vede i gladiatori erano piuttosto bassi e tarchiati, con un po' di grasso sul corpo: venivano superallenati in palestre, ben curati, nutriti soprattutto a zuppe di cereali, miglio, orzo, grano, dal lanista, il manager che li acquistava, organizzava i giochi, per far fruttare l'impegno di capitale semmai sperava in lunghe carriere. Sotto elmi e corazze lucenti nelle arene si battevano prigionieri, schiavi votati a lottare nei corpo a corpo per contratto».

 

Gli allenamenti erano durissimi, dentro le palestre usavano armi fittizie contro sagome di legno ad altezza d'uomo. Simboli di provenienza etnica e classi stabilite, le armi, le armature, gli elmi brillano nell'isola «Armi del Gladiatore» dove sono esposti 50 esemplari della famosa collezione del MANN, ritrovati nel '700 a Pompei e che hanno ispirato il citato film di Ridley Scott. Nelle arene il Mirmillone, tipologia fra le più note, indossava un elmo che pesava fino a sei chilogrammi, copriva l'intero volto con cresta per cimieri, aveva schiniere basso per la gamba sinistra, lo scudo rettangolare e il gladio.

 

È ignota l'origine del nome, di cui ci sono tracce dal I secolo a.C. Un autentico capolavoro per incisione e resa delle figure è l'Elmo del Mirmillone con rappresentazione di Roma, barbari, prigionieri, trofei, vittorie: è in bronzo, appartiene al MANN, risale alla seconda metà del I secolo d.C. e proviene dalla Caserma dei Gladiatori di Pompei dove fu ritrovato nel 1766. Le Province romane tifavano per i munera in ogni angolo dell'Impero, e ne conoscevano a fondo tecniche, armi e armature.

 

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Lo testimonia il memorabile Mosaico pavimentale con scene di combattimento, in pietra, marmo, vetro, terracotta, della fine del II secolo d.C., rinvenuto nel 1961 nella più antica colonia romana sul Reno, l'Augusta Raurica (Svizzera, oggi August presso Basilea). Al centro si erge un cratere circondato da delfini, sulle zone laterali i cinque riquadri descrivono le lotte tra coppie di gladiatori; tranne il primo riquadro in cui i duellanti indossano una tunica, tutti i combattimenti avvengono fra classi gladiatorie diverse che il magistrale uso delle variopinte tessere del mosaico lascia agevolmente distinguere, così si riconoscono armi e vestiario. Un poderoso catalogo Electa accompagna la mostra, coordinata da Laura Forte, che nasce da un progetto scientifico di Valeria Sanpaolo. La rassegna, organizzata con l'Antinkenmuseum Ludwig di Basilea, partner il Parco Archeologico del Colosseo, vanta anche un focus sugli anfiteatri campani.

 

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