1 – «UNO SCAMBIO APERTO PER ERRORE»
Cesare Giuzzi per il “Corriere della Sera”
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Lo scambio lasciato «aperto» verso un binario morto. Un errato via libera alla circolazione comunicato alla centrale operativa e l' ok al tracciato per il Frecciarossa.
È in questa incredibile catena di errori e coincidenze che si nasconde la causa del deragliamento dell' Etr 9595 e del disastro lungo l' Alta velocità.
Per gli investigatori a innescare lo «svio» dai binari è stato l' errato posizionamento del «deviatoio numero 05». Lo scambio, infatti, doveva essere in posizione «chiusa». In pratica rivolto in modo da consentire il passaggio del treno senza deviazioni lungo il suo itinerario. Anche perché si tratta di uno scambio che porta a un binario senza uscita, usato solo per consentire ai mezzi di manutenzione di entrare e uscire dalla linea.
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Invece gli investigatori del Nucleo operativo incidenti ferroviari della Polfer lo hanno trovato «aperto», in una posizione attiva per deviare la corsa del convoglio verso sinistra e quindi in direzione del deposito dei mezzi di manutenzione. Una circostanza che non si sarebbe mai potuta verificare in condizioni normali, visto che la rete è protetta da un sistema di sensori e segnalamento indispensabile per avere il via libera al movimento dei treni superveloci.
Ma nella notte tra mercoledì e giovedì proprio su quello scambio posizionato al chilometro 166+771, sono stati effettuati lavori di manutenzione. Interventi che secondo Rete ferroviaria italiana sono stati di routine e di semplice «manutenzione ordinaria ciclica». Ma sui quali ora si concentra l' attenzione del procuratore di Lodi, Domenico Chiaro. Alcuni viaggiatori già mercoledì pomeriggio avevano notato uno strano sobbalzo al passaggio in quella tratta.
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Non c' è dubbio che il «punto zero», l' inizio del deragliamento, sia in corrispondenza dello scambio incriminato. Ma perché il deviatoio è stato lasciato in posizione attiva quando invece doveva essere chiuso? La spiegazione si trova in un fonogramma - pubblicato nel pomeriggio dal sito del Fatto Quotidiano - nel quale il deviatoio viene indicato in posizione corretta al termine dei lavori di manutenzione. Il messaggio, inviato alla centrale alle 4.45 (50 minuti prima dell' incidente) dice testualmente: «Deviatoio 05 disalimentato e in posizione normale...». Indicazione che ha fatto scattare il via libera al transito del Frecciarossa senza alcuna limitazione. Ma perché nessuno si è accorto che lo scambio era nella posizione sbagliata? Tutto si spiegherebbe con la manovra di «disalimentazione» effettuata dagli operai nella notte. Il deviatoio sarebbe stato «isolato» dal resto della rete impedendo agli addetti alla centrale e al software di rilevare l' errato posizionamento.
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Il sospetto degli investigatori è che il tutto sia avvenuto per un banale errore di chi, in realtà, doveva accorgersi che lo scambio dopo la manutenzione non era tornato in posizione corretta. Per questo gli inquirenti hanno interrogato la squadra di operai Rfi che ha lavorato sul «deviatoio oleodinamico morsettato». C' è l' ipotesi che durante la manutenzione lo scambio o alcune sue parti siano state riposizionate in modo sbagliato. Ma per accertarlo serviranno analisi approfondite anche sulle scatole nere del treno.
Per quale motivo lo scambio è stato isolato dal resto della rete? Probabilmente i lavori di manutenzione non erano stati risolutivi e i tecnici avevano così deciso di «togliere alimentazione» e impedire che potesse essere aperto da remoto (a mano è impossibile spostarlo). Manovra frequente, ma che ha impedito un secondo controllo di sicurezza.
2 – GIUSEPPE, L'EX BOY SCOUT CHE NEL SINDACATO LOTTAVA PER LA SICUREZZA
Giampiero Rossi per il “Corriere della Sera”
Quando è partita la catena di telefonate tra ferrovieri e sindacalisti, negli uffici della Fit Cisl il primo pensiero allarmato è andato a lui: «Oddio, Giuseppe è partito oggi alle 5.10...». Ma l' intervallo di tempo per alimentare le speranze è stato breve. Poco dopo la notizia dell' incidente è arrivata la conferma della morte di due colleghi.
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E uno dei due è Giuseppe Cicciù, 51 anni, padre, marito, attivista sindacale, volontario nel sociale, uomo ricco di interessi e passioni. A partire dal lavoro. Figlio di un ferroviere, originario di Reggio Calabria, si era trasferito molti anni fa a Milano, dal popoloso quartiere San Giorgio, zona Sud del capoluogo calabrese, a Cologno Monzese, nell' hinterland Nord della metropoli lombarda. Ma alla sua città natale è rimasto molto legato: ogni volta che poteva tornava «giù» a trovare la madre e a tifare per la Reggina, oltre che per l' Inter. In terra ambrosiana si è sposato, si è separato e si è risposato. E quattordici anni fa è nata sua figlia.
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La militanza giovanile con gli scout gli aveva lasciato la voglia di impegnarsi nel sociale e anche sul lavoro. Gli piaceva guidare quelle macchine capaci di divorare i chilometri e appena fu possibile passò ai convogli ad alta velocità. Ma aveva anche abbracciato l' impegno sindacale. Una delle battaglie sulla quale si è speso molto è quella su ritmi e carichi di lavoro: «Perché sapeva sulla propria pelle quanto possano essere pesanti certi orari di lavoro per un macchinista e quanto sia delicato questo aspetto per la sicurezza di tutti, oltre che per la salute dei lavoratori», ricorda Giovanni Abimelech, segretario regionale lombardo della Fit, il sindacato dei trasporti della Cisl.
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Era un volto noto tra i colleghi e nell' apparato sindacale. «Alle ultime elezioni per le Rsu non si era ricandidato, anche se a malincuore - racconta Abimelech - perché voleva dedicare più tempo alla sua famiglia. Ma lo vedevamo spesso, qui, o nelle nostre sedi alla stazione Garibaldi e in Centrale». E tutti quelli che lo hanno incrociato lo descrivono come «una persona positiva, un amicone, uno che portava buonumore».
Mentre arriva il cordoglio ufficiale dei sindaci e il lutto delle sue due città, Cologno Monzese e Reggio Calabria, e dei governatori di entrambe le Regioni, nella sede della Fit Cisl continua il via vai di colleghi increduli. «Lo conoscevo da 25 anni, era una persona senza ipocrisie, ben voluto da tutti, solare, disponibile - dice Fortunato Foti, ferroviere e a sua volta e componente della segreteria lombarda del sindacato -. Amava questo lavoro, lo svolgeva con serietà ed era molto attento alla sicurezza». Quattro mesi fa sulla sua pagina Facebook aveva scritto: «La prevenzione è da sempre l' arma migliore!».
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3 – MARIO, TRA I PIONIERI DELL'ALTA VELOCITÀ ERA VICINO ALLA PENSIONE
Giampiero Rossi per il “Corriere della Sera”
L' ultimo viaggio è durato 35 minuti. E la Milano-Salerno di ieri mattina sarebbe stata un' altra tappa di avvicinamento alla pensione. Perché per Mario Dicuonzo, 59 anni, ferroviere di lungo corso, era ormai questione di mesi: perché lungo i binari della Penisola lui ha macinato migliaia di chilometri per una vita.
Sposato, con un figlio, era un veterano delle locomotive e un pioniere dell' Alta velocità.
Uno dei primi a prendere il comando dei nuovi treni capaci di accorciare le distanze tra le città. «La sua professionalità era riconosciuta - ricorda Luigi Ciracì, della segreteria regionale della Filt Cgil -, ammirata dai colleghi e apprezzata dall' azienda». Era nato a Capua, in Campania, ma da anni viveva a Pioltello, a Est di Milano, proprio la località dove il 25 gennaio 2018 si era verificato un altro drammatico incidente ferroviario.
I colleghi lo descrivono come un «vero professionista» delle locomotive, iscritto al sindacato ma senza mai assumere incarichi di rappresentanza. Un uomo appassionato del proprio mestiere. Fu questo a condurlo a superare le selezioni per arrivare a prendere il comando di quei primi convogli in grado di raggiungere velocità un tempo impensabili. E negli anni successivi è stato tra i più attivi nella formazione delle nuove generazioni di macchinisti: sono stati suoi «allievi» molti tra quelli che oggi fanno viaggiare i Frecciarossa e tanti altri convogli sulla rete italiana.
Nelle ore successive alla terribile notizia dell' incidente e della morte di Dicuonzo, nei ritrovi dei ferrovieri nessuno riesce ancora a parlarne come se davvero non ci fosse più: «Un collega molto ben voluto da tutti, sempre disponibile ad ascoltare e a spendere una parola, ma mai banale, uno empatico», mormora Ciracì.
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Anche suo fratello Maurizio è ferroviere e - fanno notare i colleghi - vive a Piacenza, dove nel 1997 si verificò il primo incidente dell' allora giovane Alta velocità. L' altro fratello lavora nell' amministrazione del Comune di Capua, che ha esposto bandiere a mezz' asta e ha proclamato il lutto cittadino per oggi. E lo stesso ha deciso il sindaco di Pioltello, Ivonne Cosciotti. Negli uffici del sindacato «oltre al dolore c' è la rabbia per una tragedia insopportabile», sintetizza Luca Stanzione, segretario lombardo della Filt Cgil. «Siamo, come tutti i lavoratori, sconvolti per quanto accaduto - aggiunge - e nonostante tutto migliaia di ferrovieri stanno svolgendo il proprio lavoro e il proprio servizio con dedizione e con un vuoto dentro.
La nostra Italia, tutta, dovrebbe ringraziarli per quello che fanno tutti i giorni e per quanto stanno facendo». Voci rotte, abbracci e lacrime per un incidente che «non doveva succedere, non doveva». Lo ripetono come automi. Non si rassegnano all' idea che Mario Dicuonzo non abbia potuto condurre il suo treno fino alla stazione d' arrivo.