Federico Rampini per “la Repubblica”
Addio al comò della nonna che ci si passava di generazione in generazione. Addio anche al tavolo da pranzo o al letto matrimoniale che era il regalo di nozze. Ikea aveva già convertito due o tre generazioni ad un arredamento semplice, essenziale, giovanile, economico: usa e getta. Ora elimina il secondo verbo: non si butta niente; si usa solo. Ma in affitto. Dopo Uber e Airbnb, anche la multinazionale svedese dei mobili e oggetti per la casa si converte all' intuizione di Jeremy Rifkin: viviamo nell' età dell' accesso.
Quel che conta è usare, non possedere. Il titolo di proprietà per i Millennial sta diventando un rottame antico (anche perché costa troppo). In un' intervista al Financial Times, il chief executive della capogruppo svedese Inter Ikea annuncia la rivoluzione: anziché venderli, la società comincerà a sperimentare l' affitto o il leasing per alcuni mobili. Si comincia dov' è più logico, con l' arredamento da ufficio. Il primo test avviene in Svizzera. Ma presto arriveranno anche le cucine in leasing. Così il consumatore potrà permettersi di cambiarle senza subire un salasso economico. E quelle usate verranno riparate, riciclate, rimesse in uso nuovamente. Spesa leggera, consumo sostenibile: tutto ciò che ci si aspetta dalla Svezia.
«Quando il periodo del leasing sarà concluso - ha detto Torbjorn Loof nell' intervista - ci restituirete il mobile e potreste sceglierne un altro. E invece di buttare via quelli usati, li aggiustiamo, li restauriamo, prolungando il ciclo di vita di questi prodotti». Se il test sui consumatori svizzeri funziona, sarà esteso ad altri mercati.
Soprattutto, se l' idea piace ai consumatori, l' approdo finale è una svolta radicale: al traguardo c' è un modello tipo Netflix, l' abbonamento per ricevere un flusso di prodotti. Ci abboneremo a Ikea per avere il diritto a vederci offrire un cambio periodico dei mobili e arredi di casa e ufficio.
«Abbonamenti scalabili», proprio come Netflix per il videostreaming, con un ventaglio di offerte a seconda di quanto si vuol spendere, quanto spesso si vuol rifare il look di casa.
Dietro questa rivoluzione culturale c' è un imperativo economico stringente. Detto brutalmente gli affari vanno male.
Il modello Ikea non tira più come una volta. L' anno scorso l' utile netto è sceso del 12% e il fatturato della filiale distributiva ha avuto un calo ben più pesante, del 40%.
Qualcosa si è guastato in quella formidabile macchina da guerra svedese che aveva disseminato il mondo dei suoi giganteschi ipermercati, dove si andava a gustare il salmone affumicato progettando il nuovo look della casa.
Ricordo l' ebbrezza provata da una nuova generazione di cinesi, i primi benestanti del boom, quando 15 anni fa trasferendomi a Pechino gli amici mi accompagnavano a comprare i mobili da Ikea come si va a DisneyWorld: per quella generazione di trentenni cinesi che mettevano su casa per la prima volta, era anche quello un salto nella globalizzazione, nella modernità. Ma oggi la modernità viene dalla Silicon Valley. Uber ha vaccinato Millennial e Generazione X dal mito dell' automobile: il sogno della prima macchina aveva segnato l' immaginario dai tempi di James Dean. Airbnb sconvolge il mercato delle seconde case di villeggiatura. Netflix ha reso inutili tonnellate di Dvd.
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I beni si usano solo quando servono. Ikea ci aggiunge un' attenzione scandinava all' ambiente, promettendo di arrivare al 100% di legno e carta sostenibili l' anno prossimo, e di eliminare completamente le energie fossili entro il 2030. Riscopriremo perfino un piacere proibito che era comune ai tempi dei nostri nonni: un mobile che si rompe si ripara.
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