Andrea Nicastro per il "Corriere della Sera"
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Questa storia aveva tutto per essere a lieto fine. E invece la disperazione tocca il fondo e scava con un uomo che urla rauco contro una donna. Attorno c'è un bosco di nebbia e una notte gelida in arrivo.
Lui è un ragioniere che sbatte i piedi sulle foglie morte, si tira i capelli bagnati, strozza il tronco sottile di una betulla. I figli si accucciano contro la ruota davanti dell'auto che partirà senza di loro. Lei è una volontaria: ha un termos di tè zuccherato, biscotti, aspirina.
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Già questa sera potrebbero essere da un avvocato, ufficialmente richiedenti asilo. Vorrebbe dire un tetto, pasti caldi, un dottore. Lei, polacca, guarda i ragazzi tremare e le si bagnano gli occhi. Lui, libanese, è esausto, affamato, con due figli che stanno peggio del padre. È una famiglia di giacche, pantaloni e scarpe fradice. I capillari rotti negli occhi. Le spalle scosse dai brividi.
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Ma il ragioniere grida che c'è l'Accordo di Dublino e non vuole l'avvocato, non vuole le foto, non vuole essere registrato qui. Grida più a se stesso che a lei. Vuole la Germania e se deve annegare nella nebbia congelata, annegherà. Non era così quando sono partiti, due settimane fa, alle 3.30 dall'aeroporto di Beirut. C'era la mamma a salutarli con la sorellina, i nonni.
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Faceva caldo, le giacche erano nella borsa a mano. In tasca un cellulare per uno, i dollari cuciti nei pantaloni. Credevano di aver pensato a tutto. Avevano una power bank e, a memoria, i codici della banca online, i numeri dei cugini in Germania e dei «passatori» in Polonia.
Il ragioniere ha 38 anni, i figli 12 e 14. Ha sempre lavorato in banca come la moglie, ma sono 13 mesi che la filiale è chiusa e i risparmi scendono a vista d'occhio. «Restare a Beirut significa precipitare nella povertà. In Germania, invece, posso farcela, non farò il ragioniere, ma sarò un imbianchino migliore di tanti altri. Loro avranno una vita».
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«Prima lo scalo a Istanbul, quindi accolti a Minsk dall'agenzia che ci ha procurato i visti. Sul pullmino con altri arabi dall'Iraq, dalla Siria, dal Kurdistan abbiamo versato quanto pattuito su Telegram. Cinquemila dollari a testa. Sconto famiglia. Altri pagavano anche 7 mila.
Era compresa un albergo e il trasporto al confine dell'Unione Europea. Si va in Lituania, hanno detto. Ma noi preferiamo la Polonia, dobbiamo raggiungere la Germania. Volevano buttarci fuori, ma ho pagato. Mille dollari. Il secondo giorno l'agenzia ci ha portato a un autobus. Scendete al capolinea, ci sarà qualcuno ad aspettarvi. Non c'era nessuno».
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Hanno vagato, telefonato, chiesto aiuto fino a che è arrivata la polizia. Due notti in prigione, poi rilasciati, ma senza soldi né telefoni. «Era settimana scorsa. Da allora siamo passati in Polonia tre volte, sempre presi e rimandati indietro. Ho pagato online un albergo in Bielorussia, ma la polizia ci ha arrestati e quella volta mi hanno picchiato con i bastoni elettrici. Volevano i soldi.
Hanno minacciato di togliermi i figli, di mandarci in Siria. Ho resistito. Il giorno dopo eravamo ancora al confine con molta più gente. Capivo di essere al limite, non potevo più sbagliare. La gente premeva sul filo spinato, ma di là i polacchi erano troppi e con gli spray urticanti. Tre notti al gelo, senza riparo. Non sapevo che le mani gonfie di freddo bruciassero. Abbiamo lasciato il gruppo e ci siamo incamminati lungo il confine».
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Eccoli in Polonia, oltre la zona militarizzata, segnalati alla volontaria da un contadino. Con lei davanti possono chiedere asilo in Polonia, ma la speranza è più forte dei brividi e della paura. L'auto di lei riparte. Il trafficante di uomini, l'ha giurato al cellulare, arriverà oggi. Ospitarli o trasportarli è illegale, lasciare delle coperte no.
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L'uomo e i suoi figli restano, una notte ancora, al gelo. Come i migliaia ancora al di là del filo spinato. Nel rispetto delle leggi. È su vite come la loro che la politica continua a giocare. Il presidente bielorusso Lukashenko minaccia di chiudere il gasdotto che «scalda l'Europa». «Pensino bene prima di imporci altre sanzioni». Vero. Lui e noi, però, abbiamo dormito al caldo.
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