Antonio Padellaro per il “Fatto Quotidiano”
Lavoravo al Corriere della Sera e un giorno di maggio del 1981 (ho controllato era il 21 e ricordo una bella giornata di sole) fui protagonista involontario di un dramma che in poche ore portò alle dimissioni di Franco Di Bella dalla direzione del giornale. Di mattina presto fummo avvertiti che Palazzo Chigi avrebbe di lì a poco reso pubblici gli elenchi con gli iscritti alla Loggia P2 di Licio Gelli.
Un migliaio di nomi e cognomi che un paio di mesi prima (grazie all' indagine di Gherardo Colombo e Giuliano Turone) erano stati sequestrati nella villa di Castiglion Fibocchi e che, per le pressioni soprattutto del leader repubblicano Giovanni Spadolini, l' allora presidente del Consiglio, il dc Arnaldo Forlani, si era deciso a mollare per evitare la crisi di governo.
Incaricato di mettere le mani sugli esplosivi libroni, portai a termine la missione e, verso mezzogiorno, mi presentai trafelato con il prezioso carico negli uffici romani del Corriere. Ma anche preoccupato perché mi era bastata una sbirciata alla lista per capire che nel giornale che mi pagava lo stipendio le cose stavano per mettersi male assai. Cascai nel mezzo della riunione che ogni giorno si svolgeva alle 12, in collegamento interfono con Milano.
Attimi, naturalmente, difficili da dimenticare. Il mio ingresso nella stanza, piena come un uovo di colleghi che più di qualcosa avevano captato. E con il caporedattore Roberto Martinelli che annuncia al microfono: "Franco, è arrivato adesso Padellaro con gli elenchi". Di Bella: "Dicci Antonio, di che nomi si tratta?".
ANGELO RIZZOLI BRUNO TASSAN DIN
Non avevo scelta: se avessi risposto non li ho ancora letti avrei fatto una storica figura di merda perché nessuno ci avrebbe creduto. Parlai tutto d' un fiato: "Veramente direttore ci sei anche tu". Dopo tanti anni rammento nel silenzio interminabile il ronzio di un ventilatore. Poi, da milioni di chilometri una voce e tre sole parole: "Bene, scrivete tutto". Nel pomeriggio, Di Bella lasciò per sempre via Solferino.
Non ho mai conosciuto Licio Gelli, anche perché ai tempi del Corriere noi umili redattori nulla sapevamo dei sabba del Venerabile con il banchiere dell' Ambrosiano Roberto Calvi e il sovrintendente alla Loggia editoriale, Bruno Tassan Din. Avevamo sentore dei problemi finanziari dei Rizzoli e, malgrado Di Bella cercasse di tranquillizzarci, un certo odore di zolfo arrivava lo stesso nelle cantine del giornale.
FRANCO DI BELLA, BARBIELLINI AMIDEI E BERLUSCONI
Non ho tuttavia di quegli anni un ricordo esclusivamente sgradevole. Il più grande quotidiano italiano costretto a tenere bordone ai golpisti assassini argentini Videla, Massera &C., e a veicolare progetti cripto fascisti di rinascita nazionale, ma pur sempre il Corriere, necessitava come l' aria di un' omertà diffusa e condivisa. Da qui gli omaggi del vizio (piduista) alla virtù (corrierista) che si sostanziavano in promozioni e gratifiche, generosamente distribuite dalla angustiata direzione a ogni più lieve tramestio redazionale.
INTERVISTA DI MAURIZIO COSTANZO A LICIO GELLI
Così, quando il complotto massonico fu finalmente smascherato, e il Corriere piombò nell' inverno della quaresima e della giusta espiazione, di tanto in tanto tra i giornalisti riemergeva, nella chiacchiera davanti alla macchinetta del caffè, una velata nostalgia per la stagione del traviamento.
Del resto, l' interessata omertà che aveva consentito la pubblicazione sul Corriere della famosa intervistona di Maurizio Costanzo a Licio "Il burattinaio", senza che volasse mosca, fu lo stesso morbo che contagiò e corruppe vasti settori del sistema di potere nazionale: dagli alti vertici militari ai servizi di sicurezza in blocco, da legioni di parlamentari a pezzi decisivi dell' alta burocrazia e dell' informazione. Gelli divenne un appestato dopo l' incursione della Guardia di Finanza a villa Wanda. Prima, come sappiamo, plotoni di potenti (e aspiranti potenti) facevano anticamera al Grand Hotel bramando una sua benedizione.
Dopo la prima rottura con Berlusconi del '94, fu Umberto Bossi (che intervistai per l'Espresso) a spiegarmi perché Gelli aveva fatto e continuava a fare comodo a tanti: "Grazie al Cavaliere, il piduismo ha ritrovato una sua forte attualità. La P2 nasce alla fine degli anni 70, sostanzialmente come risposta al consociativismo Dc-Pci. Gelli propose di sostituire il consociativismo con un ammortizzatore molto particolare, il controllo dell' opinione pubblica attraverso i giornali e le tv. Una soluzione di stampo peronista", concluse il Senatùr, "che Berlusconi, piduista della prima ora, interpreta perfettamente".
LA STANZE CON LARCHIVIO DI LICIO GELLI
ANGELO RIZZOLI E MAURIZIO COSTANZO E BRUNO TASSAN DIN
Ora che il Venerabile ci ha lasciato, sappiamo che nel trascorrere delle repubbliche altri burattinai si sono avvicendati ai vari piani del potere, pur senza raggiungere la mefistofelica grandezza del prototipo. Ma oggi, visto che il piano di rinascita nazionale è stato realizzato in molti suoi aspetti, un Gelli occorre ancora?