PALESTRA A LUCI ROSSE - ALLE ORGE PARTECIPAVANO ANCHE ALCUNI GENITORI: A BRESCIA EMERGONO NUOVI PARTICOLARI SULL’INCHIESTA DEL MAESTRO DI KARATE CHE ABUSAVA DELLE SUE ALLIEVE MINORENNI - I RACCONTI DELLE RAGAZZE VIOLENTATE

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Mara Rodello per il Corriere della Sera

 

MAESTRO KARATE BRESCIA MAESTRO KARATE BRESCIA

Due degli uomini che nella palestra del Bresciano hanno abusato di ragazzine minorenni insieme all' istruttore 43enne ora in carcere «erano genitori di altrettanti ragazzi che venivano a fare karate».

 

A raccontarlo è una delle ragazze che, non ancora adolescenti, hanno subito violenze durate anche anni. E che ora cercano di rimettere insieme i pezzi aiutate dagli avvocati di parte civile (al lavoro per mesi su questo caso), dal pm Ambrogio Cassiani e dai suoi uomini, dalle persone care, dagli psicologi.

 

Ma agli atti, per ora, restano atrocità a cui nessuno era preparato. I padri e le madri di quelle ragazzine si sentono «catapultati in qualcosa di molto più grande di noi. Che con fatica enorme abbiamo scelto di affrontare». E lottano con se stessi, tormentandosi nel dilemma di quali siano le mosse migliori per le loro figlie.

 

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Poi ci sono le altre, di famiglie. Mogli e madri che guardano negli occhi i rispettivi mariti, padri, domandandosi terrorizzate se non siano loro, «gli altri adulti coinvolti». Che ci fossero l' ha messo nero su bianco una delle vittime, che al primo «approccio» del suo allenatore, nel 2008, aveva solo 12 anni.

 

Le violenze su di lei continuarono fino ai 17. Fino a che il fidanzato non la spronò a denunciare. Lui, C.C., istruttore e titolare della palestra, 43 anni, teneva le redini del gioco sporco, manipolando le ragazze al punto da rendere loro impossibile ribellarsi («capivo che era sbagliato, mi stavo allontanando da tutto e da tutti, mentivo alla mia famiglia e mi sentivo sempre più in colpa»).

 

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Era lui, ancora, a «invitare» gli amici: a guardare. A partecipare. Non sempre agiva da solo. E a raccontarlo sono le testimonianze delle sue allieve, soprattutto una, ritenute non solo attendibili ma anche riscontrate dal gip che quell' istruttore lo ha fatto arrestare con ordinanza di custodia cautelare in carcere.

 

Tra il 2011 e il 2012 «mi costringeva a partecipare a video chat su Badoo », nel corso delle quali la ragazza doveva farsi riprendere in pose hard. Dalle chat, poi, si è passati ai messaggi sul cellulare: scambiati - dice - con altri uomini maggiorenni che frequentavano la palestra.

 

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Due, in particolare, «erano genitori di altrettanti ragazzi che venivano a fare karate», ricorda lei. Negli sms veniva usato una sorta di linguaggio in codice: «Dovevo scrivere di aver fatto un sogno»: di aver sognato, insomma, un rapporto a tre, con loro e con l' istruttore.

 

Bastava cliccare «invio» e aspettare che iniziasse «una conversazione» che aveva uno scopo preciso: «Incontrarci in palestra». Il sabato sera, quando era chiusa, o in orario di apertura ma quando ovviamente non c' era nessuno.

 

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«Ci incontravamo contro la mia volontà», ha fatto mettere a verbale una delle ragazze, oggi maggiorenne. Che a volte esitava. Per sgretolare i suoi timori loro, gli adulti, avrebbero sfoderato la leggerezza contro chi, al contrario, quella pressione atroce non l' avrebbe retta: «Siamo tutti qui dai, ormai, bisogna concludere qualcosa».

 

Sempre secondo i ricordi e i racconti della presunta vittima, con quegli adulti i cui figli si allenavano sul tatami gli incontri hard si sarebbero consumati proprio «nel salone in cui facevamo karate».

 

Un incontro con uno, tre con l' altro: «completo» con uno, «limitati» (se un limite può esistere) a «farla spo-gliare e toccarla» con l' altro («quando arrivavamo al momento... mi bloccavo e li allontanavo»).

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Un' altra allieva ha dichiarato di aver «ricevuto pressioni» affinché si concedesse agli incontri di gruppo, con un altro ragazzo. I partner potevano anche essere scelti online, su WeChat , a una condizione: «Dichiaratevi maggiorenni» diceva loro l' allenatore. Altri tre adulti sono dunque indagati per violenza sessuale di gruppo.

 

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Al giudice non importa il «ruolo» esatto di uno o dell' altro: è sufficiente qualunque condotta partecipativa, morale o materiale. Condotte che gli altri, di genitori, quelli delle ragazzine, mai avrebbero lontanamente immaginato. Cosa che li ha distrutti, se possibile, ancora di più.

 

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