Carlo Nicolato per “Libero quotidiano”
A Donald Trump c'è voluto relativamente poco perché gli censurassero l'account su Twitter e poi glielo bloccassero definitivamente, a Vladimir Putin non è bastata un'invasione, qualche migliaio di morti, bombardamenti, distruzioni e minacce varie tra le quali l'uso della bomba atomica. Il suo account Twitter incredibilmente è ancora lì nel momento in cui scriviamo questo articolo, attivo, con i suoi 1,5 milioni di followers, l'ultimo post risale a un giorno fa o poco più.
E non conta se oggi lo faranno sparire, perché comunque è sopravvissuto ad almeno 10 giorni di guerra e stragi, più altre settimane di minacce. Ovviamente a tale accusa il social americano potrebbe rispondere che in fondo Putin non ha violato le regole della piattaforma, mentre Trump a suo tempo le avrebbe infrante ripetutamente, almeno 65 volte con altrettanti messaggi ai quali è seguita debita censura e infine, dopo l'assalto al Campidoglio e uno degli ultimi messaggi in cui in realtà invitava i rivoltosi ad andare a casa, la definitiva cancellazione.
Vero, i tweet postati da Putin o da chi per lui sul suo account ufficiale sono generici, semplici messaggi sulle sue attività giornaliere, incontri, videochiamate, comunicati ripetitivi da ufficio stampa senza velleità. La pantomima continua anche durante la guerra, sembra perfino non stia succedendo niente. L'invasione viene definita una volta semplicemente «situation around Ukraine», un'altra «operation to protect Donbass», a seconda della telefonata o dell'incontro annunciato.
A parte Macron i nomi citati sono quelli dei capi di Stato che gli sono rimasti fedeli, il presidente Venezuelano Nicolas Maduro, quello indiano Narendra Modi, il dittatore cinese Xi Jinping, il siriano Assad, una bella compagnia. Putin dunque non avrebbe violato le regole di Twitter che si preoccupa teoricamente di vigilare sui tweet e non su chi li scrive, stando attenti che tali messaggi non contengano "contenuti violenti e sensibili, "atti di terrorismo, violenza minorile, abusi e molestie, autolesionismo e suicidio, beni e servizi illegali o dichiarazioni che incitano all'odio e alla violenza".
Ebbene tutto questo nei post di Putin non c'è, ma c'è nelle sue azioni, nella sua politica, negli ordini che dà ai suoi sottoposti e al suo esercito, nei messaggi che manda al mondo intero. Sarebbe come permettere a un assassino conclamato di conservare la sua posizione sociale come se nulla fosse. Non a caso anche il nostro codice prevede l'interdizione ai pubblici uffici a chi si macchia di reati gravi, indipendentemente dal fatto che il reo possa o meno utilizzare i pubblici uffici per reiterare il reato.
Putin comunque è in buona compagnia, col suo permangono sul social l'account di Maduro che ha ridotto alla fame il suo popolo, o quello dell'ayatollah Khamenei che predica la cancellazione di Israele, e perfino quello del portavoce dei talebani Mujahid Zabihullah, profilo utilizzato per promuovere la propaganda durante e dopo la violenta presa del potere in Afghanistan.