Elisabetta Rosaspina per “Il Corriere”
Quel fitto intreccio di centinaia e centinaia di messaggi ha ricostruito ai loro occhi uno scenario sconvolgente: la loro unica figlia era rimasta intrappolata per 13 anni in una relazione morbosa, ossessiva, soffocante con una suora conosciuta all’oratorio di S. Edoardo, quando ne aveva appena compiuti 15.
Sembrava volesse liberarsene, da adulta, ma senza riuscirci: «Non posso sparire – aveva scritto, tre anni prima di morire, a don Alessandro, amico sacerdote – mi verrebbe a cercare». Lo confermavano i fiumi di parole con cui l’educatrice travolgeva la ragazza: un attaccamento prima da madre spirituale, poi da amante ostinata, perché «soltanto la morte ci potrà separare».
In realtà, per Roberto, funzionario di banca in pensione, e Giovanna Sacconago, non è stata una totale sorpresa. Quel rapporto troppo speciale tra Eva e suor Maria Angela, di 23 anni più grande, era saltato ai loro occhi fin dall’autunno del 1998: «Una sera, non vedendo rientrare Eva a cena – racconta la madre -, sono andata a cercarla all’oratorio e l’ho trovata al primo piano, nell’alloggio privato della suora».
Le antenne materne captarono un’insolita atmosfera: «Cominciai a leggere di nascosto il suo diario, trovai i bigliettini che la suora le inviava». Dichiarazioni d’amore, richieste e promesse di patti di silenzio, espliciti accenni a momenti d’intimità. Mise insieme quanto bastava per ottenere dalle autorità ecclesiastiche l’allontanamento temporaneo in Sicilia di «sister Mary» o «mamma Mary», come si faceva chiamare la suora dall’adolescente. Ma s’illuse, pensando di aver messo fine così al loro legame.
Ora è tutto agli atti. Gli atti di un lungo e doloroso processo che, vent’anni dopo, scava ancora nelle pieghe e nelle piaghe della vita di una giovane catechista che ha deciso di farla finita «con la corda per saltare dei bambini dell’oratorio – come racconta il padre -, e per me quello è stato il suo ultimo messaggio». D’accusa o di scuse.
Ma adesso che Eva non c’è più per formulare la prima o per riscuotere le seconde, i suoi genitori consumano l’estate in attesa di giustizia, di un improbabile cenno di risposta al loro appello al Vaticano. E del processo d’appello, il 24 settembre, a Milano.
Dalla sentenza di primo grado del tribunale di Busto Arsizio hanno ottenuto, nel dicembre del 2015, solo parte di quanto reclamano come parti civili nel giudizio a carico di Maria Angela Faré. Tornata agli abiti civili all’inizio dell’inchiesta, è stata condannata infatti a 3 anni e sei mesi di carcere (contro i 9 anni e 9 mesi richiesti dal pubblico ministero) per l’unico episodio di violenza sessuale del quale è stata dichiarata colpevole e risalente a poche settimane prima del suicidio di Eva, immobilizzata in quell’occasione con manette alle caviglie.
Gli abusi compiuti sulla ragazza all’epoca in cui era minorenne sono ormai prescritti e i giudici non hanno riconosciuto la continuità del reato,poiché non è provato che si siano ripetuti nel periodo in cui suor Maria Angela era «esiliata» in Sicilia (e poi trasferita a Cesano), e fino alla maggiore età di Eva.
Quanto ai rapporti successivi, testimoniati dai messaggini erotici ritrovati dai genitori, la sentenza valuta che «fra le due donne fosse in essere un rapporto omosessuale, ma non sono emersi elementi che inducano a ritenere che il consenso espresso da Eva a tale tipo di rapporto fosse viziato». Le perizie psichiatriche non hanno convinto i giudici che Eva, per un «disturbo di personalità dipendente» fosse stata circuita e sottomessa da suor Maria Angela, con «un disturbo border line».
Nè che le violenze o gli impeti di gelosia della suora abbiano spinto Eva al suicidio, quanto piuttosto i pettegolezzi di paese attorno ai suoi sentimenti il giovane sacerdote arrivato all’oratorio dove lei era animatrice, don Alessandro. Che si sforzava comunque di mantenere la relazione su binari spirituali, ascoltava le sue confidenze sugli assalti della «sister», ma non sapeva proteggerla.
«Il don avrebbe dovuto avvisarci, ma avrebbe tradito la fiducia di Eva che non voleva denunciare la suora - si rammarica la madre -, sono sicura che lui è stato solo un amico, anche se lei a volte lo ospitava di notte. Mentre per due anni certa gente ha detto in giro che era incinta del prete». Quando era in vita Eva trovava spesso le gomme dell’auto tagliate, dopo la sua morte i genitori hanno trovato strappate alcune delle foto che avevano messo sulla sua tomba.
Il padre mostra al cellulare l’immagine della lapide: «A un parroco che mi consigliava di darci pace, di metterci una pietra sopra, ho risposto: eccola lì, la pietra». Anche stasera Giovanna scriverà a Eva, le racconterà forse che è stata come sempre a pulire la sua casa, rimasta come l’ha lasciata; che Coco, il suo cane sta meglio dopo un intervento alla zampa e che organizzeranno una festa per il suo compleanno, il 4 settembre, l’ottavo senza di lei.
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