Marco Revelli per "La Stampa"
Alle 16,30 di venerdì scorso i 35 dipendenti di un outlet di fascia alta immediatamente aldilà del confine svizzero hanno ricevuto una mail dalla direzione in cui si concedevano loro 57 minuti per decidere di licenziarsi con un bonus di buonuscita.
In mancanza di adesione avrebbero rischiato il licenziamento senza bonus, dal momento che 15 di loro (in gran parte frontalieri italiani) avrebbero comunque dovuto lasciare il lavoro.
L'episodio - una sorta di partita a poker col buio - è avvenuto a Mendrisio, nel centro commerciale Foxtown e riguarda i due negozi Burberry. Ma ha una sua esemplarità. La Svizzera, infatti, non è un Paese del margine, un distretto industriale dell'Est europeo, non è l'Albania o la Serbia, serbatoi di manodopera a basso prezzo. È sulla cuspide dei Paesi più ricchi del mondo. In qualche modo un modello avanzato di capitalismo.
Che lì i rapporti di lavoro assumano la forma di "giochi senza frontiere", con una nota di sadismo da roulette russa, e con la tecnica da casinò a gestire il mercato del lavoro, è segnale inquietante.
Già aveva colpito, per cinismo e disprezzo dei propri dipendenti, l'operato della Gkn di Campi Bisenzio con i suoi 422 licenziamenti comunicati via mail, o della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto via Whatsapp. Ma qui si sale un gradino: si gioca con le vite delle famiglie, come fa il gatto col topo, usando il timer.
Ed è il segno che il processo regressivo viaggia veloce: i sindacati hanno dichiarato che si è davanti a "un atteggiamento più da barbari che da Burberry", e hanno ragione, anche se ciò non basta a salvare quei posti la cui cancellazione, secondo la proprietà, servirebbe a compensare le perdite provocate da 60 giorni di chiusura per lockdown.
Se si va sul sito dell'outlet in questione e si dà un'occhiata alla "TB summer collection" si scopre che una T-shirt "Monogram Motif Cotton" costa qualcosa come 560 franchi (ovvero 518 euro). E una borsetta "Small Leather Olympia" blue topaz ne richiede 1.711 di euro.
Il che sembrerebbe dare ragione al sociologo Aldo Bonomi, attento osservatore delle trasformazioni economiche e sociali dell'iper-modernità, il quale parla di un'apparentemente contraddittoria coincidenza tra il "massimo d'innovazione" (nei processi e nei prodotti) e il "massimo di mediocrità" (nelle condizioni di lavoro) come cifra tipica della nostra contemporaneità dissociata.
Da una parte l'"eccellenza" (sperimentazione, chimica fine, automazione, digitalizzazione), dall'altra "degrado" (neoschiavismo, arbitrio, assenza di diritti). Su un versante un pubblico di clienti internazionali, che si possono permettere pressoché tutto.
Dall'altra parte (del confine) una fila di lavoratori, anch'essi a loro modo "internazionali", che non si possono permettere pressoché nulla. E che devono competere col cronometro per non perdersi il "privilegio" di un licenziamento "con bonus". La Svizzera, in questo, costituirebbe una sorta di caso di scuola.