Elena Meli per il Corriere della Sera
Un’isola desolata, lontana dal resto del mondo, con una popolazione di pecore largamente superiore a quella del gruppetto di umani che l’hanno colonizzata e che nei secoli hanno dovuto adattarsi a convivere con eruzioni vulcaniche, terremoti, ondate di peste nera.
Eppure proprio qui, in Islanda, ha preso corpo una delle conquiste scientifiche più rilevanti dell’umanità, un progetto di cui sono stati appena festeggiati i 25 anni con un convegno che ha celebrato i successi ottenuti e delineato la strada della ricerca del futuro: grazie al sequenziamento del DNA di tutti gli abitanti dell’isola da parte di deCODE genetics, oggi conosciamo meglio la diversità genetica della specie umana e soprattutto sono stati individuati geni che influenzano il rischio di oltre 400 malattie e che potrebbero diventare, in alcuni casi, lo «stampo» per farmaci innovativi.
Una popolazione «speciale»
A Reykjavik sono giustamente orgogliosi, perché in questo laboratorio di legno, vetro e acciaio si è scritta la storia della medicina, scoprendo per esempio per la prima volta varianti genetiche associate a un maggior rischio di alcuni tumori o di Alzheimer, di diabete o di malattie cardiovascolari; a oggi la deCODE ha raccolto dati su oltre 10mila tratti umani, associati a malattie ma anche a elementi del comportamento o cognitivi (si sono pure scoperte varianti associate alla passione per i cruciverba), grazie al sequenziamento completo di ben 350mila genomi.
Una banca dati enorme, che oggi raccoglie i dati genetici e sanitari di 2,5 milioni di persone in tutto il mondo: dal 2017 lo sforzo per «leggere» il genoma umano infatti si è esteso al di fuori dell’Islanda, confermando su popolazioni differenti molte delle scoperte fatte sugli abitanti di un’isola che è diventata un laboratorio genetico grazie alla sua situazione geografica e alla sua storia. Unnur Thorsteindottir, vicepresidente della ricerca genetica a deCODE, spiega: «La popolazione islandese è omogenea e piccola, ma grande abbastanza da poter studiare l’impatto dei geni sulla maggior parte delle malattie umane.
Dal 1997 abbiamo iniziato a compilare il “Libro degli islandesi” in cui abbiamo ricostruito la genealogia dei nostri connazionali; questi dati, uniti al fatto che nell’isola si è verificato il cosiddetto “effetto fondatore” (una popolazione che discende da un basso numero di antenati e ha perciò una bassa variabilità genetica, ndr), hanno consentito di ottenere risultati straordinari».
Terapie del futuro
È islandese, per esempio, la prima mappa del genoma umano ad alta risoluzione: gli abitanti dell’isola hanno risposto in gran numero all’appello e i ricercatori hanno potuto analizzare il DNA di circa la metà della popolazione, 175mila persone su un totale di 340mila anime. Oggi il database genetico di deCODE è il più ampio al mondo e sta aprendo la strada a una nuova era della medicina in cui grazie ai «big data» si potrà capire sempre di più non solo la diversità umana, ma anche l’interazione fra geni e ambiente: i supercomputer al lavoro alla deCODE processano circa quattro quadrilioni di dati al secondo e possono «dragare» 100 PetaBytes di dati estratti dal DNA dei volontari (un PetaByte equivale a mille TeraByte). «Siamo passati dal cercare dati a estrarre conoscenze dai dati che raccogliamo: anziché fare ipotesi da verificare, stiamo lasciando che la biologia del nostro DNA ci “parli”», osserva Kari Stefansson, fondatore di deCODE. «Individuiamo correlazioni, geni che sono coinvolti in un maggiore o minor rischio di malattia, in modo che poi si possano realizzare terapie sempre più precise».
La seconda parte del percorso è possibile grazie ad Amgen, che nel 2012 ha acquisito deCODE, e come spiega Ray Deshaies, senior vice president della ricerca ad Amgen, «A oggi l’80 per cento delle proteine note e quindi delle loro funzioni non può essere influenzato da farmaci: l’analisi approfondita del genoma sta consentendo di individuare la strada migliore per poter intervenire anche dove per il momento non riusciamo a farlo».