Mattia Chiusano per la Repubblica
C'erano dieci gradi sotto zero: normale, per la cerimonia inaugurale di un' Olimpiade invernale. Non sulle Alpi, non sulle Rocky Mountains, ma nello scenario lunare di Nagano, regione di Chubu, Giappone centrale, sede del celebre tempio Zenko-Ji che pullulava già nei giorni precedenti di atleti con i loro bigliettini pieni di predizioni divine. Nel freddo pungente si consumava qualcosa di nuovo per il mondo dello sci e del ghiaccio: seminudi, giganteschi, al centro del Minami Sports Park, si esibivano i lottatori di sumo nel Dohyo-iri, il rituale della purificazione. Fiore all' occhiello della cerimonia in cui il Giappone si presentava al mondo, non solo olimpico, orgoglioso delle sue tradizioni.
Quindici secoli e tonnellate di uomini che sollevano la gamba per farla ricadere pesantemente a terra, e far impazzire - come succedeva più facilmente una ventina d' anni fa - giapponesi di tutte le età. Oggi no, il seguito non è più quello di un tempo, i rigidi rituali e l' aspetto dei lottatori non attrae più i giovani della generazione social. Il numero di praticanti è sceso drasticamente, i campioni giapponesi doc sono calati a favore di avversari provenienti dall' estero. Ma il sumo resta sempre un concentrato di Giappone che affascina per la sua impenetrabilità, per il suo essere senza tempo.
Quando si apre una porta, difficile non resistere a dare un' occhiata dentro, come hanno fotto i fotografi ammessi nel tempio Ganjoji Yakushido, a Nagoya. Come nelle scuole calcio rivivono i gol di Pelè e Maradona, così nelle palestre di sumo si ricordano il divino Akebono, nato alle Hawaii, capace di sollevare 90 kg con una mano, o gli ottocento chili di impatto quando attaccava Kitanoumi. Un anello di sabbia, due pachidermi che caricano, il combattimento perso se si esce dall' area stabilita. Sembra semplice, invece quel confronto preistorico nasce da lontano. Da quando i ragazzini, all' età di quindici anni, spesso costretti dalla famiglia, vengono ammessi nell' accademia che può renderli immortali. In cambio della totale dedizione, fisica e spirituale.
Colazione a base di banane, per non vomitare durante gli allenamenti che durano più di tre ore la mattina, prima della breve pausa dedicata agli autografi, alle foto coi fan e al rito del pasto, preparato dai lottatori più giovani. Nella pentola, piede di maiale, sardine grigliate e fritte, riso al vapore, oltre al chanko nabe, un piatto a metà tra una zuppa e uno stufato. E ancora: spigola, frutti di mare, funghi, fagioli, macinato misto. Il pasto pantagruelico precede una siesta, se così si può chiamare, un sonno pesante che dura ore e viene assecondato da maschere d' ossigeno per aiutare la respirazione. Ogni giorno un lottatore di sumo assorbe circa ottomila calorie, il peso diventa un' arma di combattimento ed in passato c' è chi ha superato i 250 chili sulla bilancia.
Rigide anche le regole sull' abbigliamento, sui mutandoni indossati, sul codino con riporto detto chonmage. Tutto questo non incanta più i giovani giapponesi, ed i rinforzi sono arrivati soprattutto dalla Mongolia. Il riverito Kyokutenho Masaru si chiama in realtà Nyamjavyn Tsevegnyam ed è nato a Ulan Bator. Oltre al nome, ha preso una moglie e la nazionalità giapponese. Per alimentare, col vento della steppa, un rito lungo quindici secoli.
lottatori di sumo 5 lottatori di sumo 6 hakuho sho lottatori di sumo lottatori di sumo 7